Category: disegno

19
Gen

Mario Cresci. La fotografia del no, 1964 – 2016

GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo

A cura di M. Cristina Rodeschini e Mario Cresci

Inaugurazione: giovedì 9 febbraio, ore 19:00

Dal 10 febbraio al 17 aprile 2017 la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta la prima grande mostra antologica dedicata al lavoro fotografico di Mario Cresci (Chiavari, 1942), la cui figura artistica può essere considerata tra le più ricche e complete, per intenti ed esiti, della scena italiana del dopoguerra.

A cura di M. Cristina Rodeschini e Mario Cresci, la mostra offre una panoramica completa della poetica dell’artista, dalle origini del suo lavoro fino a oggi, evidenziandone l’attualità della ricerca nel contesto delle tendenze artistiche contemporanee.

Cresci utilizza il linguaggio della fotografia per approfondire aspetti legati alla memoria, alla percezione, alle analogie, in un’analisi suggestiva che diventa un invito a confrontarsi in modo inedito con la realtà, con i luoghi, intesi come deposito di relazioni, memorie, tracce. La mostra attraversa la produzione dell’artista dalle prime sperimentazioni sulle geometrie alle indagini di carattere antropologico sulla cultura lucana della fine degli anni Sessanta, ai progetti dedicati alla disamina della scrittura fotografica e all’equivocità della percezione, in un percorso espositivo articolato in dodici sezioni capace di mettere in risalto analogie formali e correlazioni concettuali fra le diverse opere, privilegiando, così, uno sviluppo non necessariamente cronologico della sua produzione e poetica. Sarà inoltre presentata la rivisitazione di alcune sue famose installazioni poste in dialogo con opere più recenti, attraverso la ricerca di un’articolazione studiata per i diversi spazi espositivi; installazioni che presenteranno materiali eterogenei, non appartenenti unicamente allo specifico della tecnica fotografica, poiché, fin dagli esordi, Cresci è autore di opere composite caratterizzate da una libertà che attraversa il disegno, la fotografia, le installazioni e l’esperienza video.

La mostra si propone, infatti, di presentare il lavoro dell’artista mettendo in risalto questo continuo e proficuo scambio tra l’arte, la grafica e la fotografia, intesa quest’ultima come medium della ricerca artistica e al tempo stesso come riflessione teorica connessa con altri saperi e discipline. La profonda riflessione condotta da Cresci sulle potenzialità del linguaggio fotografico si è sviluppata, da sempre, in dialogo stringente con la più aggiornata ricerca artistica. Il titolo della mostra, La fotografia del no, si rifà al libro di Goffredo Fofi Il cinema del no. Visioni anarchiche della vita e della società (Elèuthera, 2015), che rispecchia in gran parte il pensiero dell’artista riguardo alla fotografia, intesa come mezzo privilegiato, ma non unico, per le sue scelte di vita e di relazione con gli altri. Per Cresci, infatti, la fotografia è un “atto globale, non circoscrivibile al singolo scatto”, che si contamina, diventando argomento di testi e oggetto di docenza, nella ricerca di un dialogo con le giovani generazioni, per lui cruciale.

Queste le sezioni che compongono la mostra:

Ipsa ruina docet, 1996 – 2016
Mettendo in scena ex-novo il rapporto tra classico e moderno, sollecitando una riflessione sul significato dei modelli nella cultura umanistica, Cresci rilegge l’affascinante armamentario didattico rappresentato dai modelli ottocenteschi dell’Accademia di Belle Arti G. Carrara, già protagonisti nel 1996 di un’emozionante installazione al Teatro Sociale di Bergamo (Opus Gypsicum, dalla serie In scena).

Geometrie, 1964 – 2011

La vocazione di Cresci alla sperimentazione e all’uso antinaturalistico del linguaggio fotografico si esplica in numerose variazioni sul tema, attraverso l’uso di forme geometriche quali cerchi, quadrati, croci, che dal Suprematismo al Minimalismo l’artista smitizza attraverso distorsioni e deformazioni. Serie come Geometria non euclidea (1964) e Accademia Carrara (1994) e opere quali Rotazione tra cielo e terra (1971) e Geometria Naturalis (1975 – 2011) danno luogo a immagini fortemente stranianti, che inducono l’osservatore a focalizzare la propria attenzione sulla modalità di rappresentazione piuttosto che sul contenuto.

Cultura materiale, 1967 – 2016

L’uso progettuale della fotografia offre una lettura non stereotipata della realtà contadina del Sud Italia, facendo emergere i segni e i significati che legano il singolo episodio (il manufatto, il volto, l’interno domestico, la strada, gli animali) al territorio che lo comprende. Cresci sviluppa la ricerca sulla produzione artigianale locale e sul design di matrice popolare attraverso metodologie originali che non trascurano l’aspetto creativo e sperimentale – come nei celebri Interni mossi (1966 – 1978) e nei Ritratti reali (1972) – e talvolta ludico (come nei Rayogrammi e nelle sue rivisitazioni di Scanprint e Coesistenze, 2016).

Trisorio site-specific, 1979
In occasione di una sua personale presso lo Studio Trisorio a Napoli nel 1979, Cresci elabora l’opera Campo riflesso e trasparente, che conferma la capacità dell’artista di costituire una grammatica per l’osservazione e per la ricerca sul mezzo fotografico.

Roma ‘68

È dedicata all’esperienza dei movimenti studenteschi del ’68 romano esemplificati dai cicli e dalle performance che hanno come oggetto la critica del militarismo e del potere politico.

Time out, 1969 – 2016

Protagoniste di questa grande installazione collettiva, formata da 1000 cilindri trasparenti, sono le immagini pubblicate su Instagram raccolte grazie alla “call” che l’artista ha lanciato nell’autunno 2016. Un’idea che riprende un lavoro del 1969, Environnement, presentato alla Galleria Il Diaframma di Milano diretta da Lanfranco Colombo in cui l’artista racchiuse in altrettanti cilindri 1000 immagini che rappresentavano il consumismo dell’epoca.

Attraverso l’arte, 1994 – 2015

Un’indagine sull’importanza del rapporto tra la fotografia e l’arte, nodale nella ricerca di Cresci sin dai suoi esordi. La sezione accoglie, tra gli altri, le serie Vedere attraverso (1994 – 2010) e Fuori tempo (2008), che vede protagonisti alcuni dei più famosi ritratti dell’Accademia Carrara di Bergamo.

Baudelaire, 2013
Cresci rielabora nel 2013 il ritratto che Étienne Carjat fece a Charles Baudelaire nel 1862, in un’opera (I Rivolti) composta da quarantasei copie del volto del poeta, una per ciascuno dei suoi anni di vita. Stampate su carta cotone piegata a mano in modo differente da copia a copia, le fotografie offrono allo spettatore un’immagine sempre diversa del volto di Baudelaire, in una visione d’insieme che mette in evidenza la relazione tra le geometrie involontarie causate dalle piegature dei fogli e l’interfacciarsi della superficie pulita del retro con quella stampata del fronte.

Transizioni, 1966 – 2015

Attraverso un processo psicologico molto prossimo a forme di identificazione si palesa un coinvolgimento personale che mette l’artista a contatto con il senso dell’abitare e con gli oggetti di appartenenza (La casa di Annita, 2003), con l’abbandono e le transizioni esistenziali (Via Garibaldi 19, 2015 e Le cose disposte, 2014 – 2016). Questo percorso ha inizio da lontano, con la serie sugli Interni di Barbarano Romano (1978-1979), dove autoritratti evanescenti, sullo sfondo di preziose tappezzerie, pesanti e ricche di luci e ombre irreali, talvolta proiettate su schermi televisivi, diventano pretesto per visualizzare le connessioni temporali, i rapporti causa- effetto, di affinità e di differenza.

D’après di d’après, 1985

Il disegno si avvicina alla fotografia in questa serie – che dà il titolo alla sezione – in cui Cresci realizza “copie di copie” partendo da immagini di autori che sono parte della memoria storica della fotografia. Il concetto di copia diviene per Cresci “un pretesto inventivo di nuovi percorsi segnici, vere e proprie “mappe” di un viaggio immaginario che ne consente la nascita di altre e poi di altre ancora, senza mai finire”.

Metafore, 2013 – 2016

La ricerca di Cresci conosce un ulteriore passaggio aprendosi al dramma della migrazione di persone, spinta dalle guerre, dalla violenza, dalla fame (Icona, 2016). Nelle immagini delle figure avvolte nelle coperte termiche, utilizzate nel salvataggio dei migranti, l’artista ricostruisce la plasticità della scultura per avviare un trasferimento di senso, al di là del momento della rappresentazione. Passaggio ulteriormente presente in grandi opere come Elementa e Incandescenze (2016), su tematiche apparentemente distanti ma fortemente metaforiche.

Video, 2010 – 2016

A corredo del percorso espositivo sono presentate alcune video-opere che completano le variabili delle espressioni formali e di contenuto della vasta ricerca artistica di Mario Cresci. Dal video Segni nei segni di segni (2010) alla rivisitazione della Pietà Rondanini di Michelangelo In aliam figuram mutare (2016).

Accompagna la mostra un volume – a cura di M. Cristina Rodeschini e Mario Cresci, edito da GAMeC Books – che rispecchia nella struttura le sezioni della mostra: seguendo il tema sviluppato in ciascuna sala, la pubblicazione offre un continuo transito di linguaggi, attraversamenti temporali di e con saperi diversi, al fine di stimolare interpretazioni e riflessioni per una lettura aperta dell’opera di Cresci. Ciascuna sezione è stata affidata alle parole di critici, curatori, storici dell’arte che hanno intrapreso un’esperienza di collaborazione con Cresci: Bruno Valerio Bandini, Corrado Benigni, Enzo Biffi Gentili, Maria Francesca Bonetti, Alessandro Castiglioni, Martina Corgnati, Enrico De Pascale, Nicoletta Leonardi, Luca Panaro, Alessandra Pioselli, Marco Romanelli, Marco Senaldi, Roberta Valtorta, Mauro Zanchi, Claudia Zanfi. Il volume include inoltre un testo di M. Cristina Rodeschini e una postfazione di Mario Cresci.

Si ringrazia lo Studio dell’artista per il supporto alla realizzazione della mostra e del catalogo.

15
Gen

Vitriol. Disegni di Gillo Dorfles, 2016

VITRIOL è un personaggio fantastico, inventato da Gillo Dorfles, presente la prima volta nel dipinto del 2010, esposto in mostra, poi di nuovo protagonista di una serie di disegni e di appunti, realizzati nella seconda metà del 2016. VITRIOL è uno degli acronimi più utilizzati dagli alchimisti, le cui iniziali stanno al posto di “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem”, ovvero “Visita l’interno della terra e, con successive purificazioni, troverai la pietra nascosta”, che è la vera medicina. Come afferma lo stesso Dorfles, nel dialogo con Aldo Colonetti e Luigi Sansone, “attraverso la figurazione, molto spesso si riesce ad andare al di là della propria “conoscenza cosciente”, per approdare a una sorta di figurazione dell’inconscio: alcuni mie disegni provengono dall’inconscio, e si affacciano sul foglio di carta attraverso elementi figurativi che ovviamente derivano da uno stato di coscienza, non razionalizzato”.
È il Dorfles pittore che parla, ma soprattutto lo studioso di psichiatria, lettore attento di Goethe, Jung e Rudolf Steiner, una sorta di filo conduttore presente in tutti suoi scritti, soprattutto là dove affronta il tema della “creatività”, accanto a quello dell’interpretazione. In totale, accanto al dipinto del 2010, sono esposti, per la prima volta, 18 disegni, che rappresentano un’ assoluta novità, in quanto sono altrettanto capitoli di una storia che è un viaggio, anche un po’ misterioso, alla ricerca della “pietra nascosta”.Continue Reading..

11
Dic

Da vicino. “in ascolto dell’inudibile risuono dell’opera”

La galleria A arte Invernizzi inaugura mercoledì 14 dicembre 2016 alle ore 18.30 la mostra Da vicino. “In ascolto dell’inudibile risuono dell’opera” a cura di Francesca Pola, che presenta esclusivamente opere di piccolo formato a creare una costellazione di linguaggi e visioni contemporanei. L’esposizione propone una particolare modalità esperienziale dell’opera d’arte rispetto a quella riservata alle installazioni monumentali o alle opere di grande dimensione, vale a dire una immedesimazione che nasce dalla relazione diretta, quasi tattile, con la fisicità di questi lavori che, per via delle loro dimensioni, possono appunto essere osservati e compresi tramite una percezione ravvicinata.
Se l’idea di una mostra di opere di piccolo formato può annoverare illustri precedenti storici, che vanno dalla Boîte-en-valise di Marcel Duchamp, ai Microsalon parigini di Iris Clert, alle proposte itineranti di sculture da viaggio e arte moltiplicata di Bruno Munari e Daniel Spoerri, essa non pone tuttavia l’accento sugli aspetti “portatili” dell’opera di queste dimensioni, che la rendono spesso la materializzazione di un’idea che appunto si può spostare con facilità. Ad essere privilegiata nel caso di questa mostra è invece l’intimità della relazione che si viene a creare tra osservatore e singolo lavoro, nella necessità di soffermarsi con attenzione su ogni opera per comprenderne i meccanismi creativi, dando luogo a una sorta di immedesimazione per empatia tra osservatore e oggetto. Una componente non secondaria in questo processo di partecipazione è poi naturalmente quella del tempo di fruizione, che si dilata in misura inversamente proporzionale alla dimensione dell’opera stessa.
Le relazioni tra le opere in mostra rispondono a meccanismi di tipo spaziale e associativo, privilegiando quelle personalità creative caratterizzate da una riduzione significante che da sempre costituiscono l’asse portante dei programmi espositivi della galleria. Una proposta di avvicinamento non scontata, nella quale la sequenzialità non è sinonimo di serialità, così come iterazione non significa ripetizione.

In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue con un saggio introduttivo di Francesca Pola, la riproduzione delle opere in mostra e poesie di Carlo Invernizzi che partecipano della stessa empatia umana: a una sua frase, è anche ispirato il sottotitolo della mostra, che sottolinea appunto “l’inudibile risuono dell’opera”, percepibile solo in questo “avvicinamento di attenzione”.

Inaugurazione mercoledì 14 dicembre 2016 ore 18.30Continue Reading..

02
Dic

CAP Kuwait: Amira Behbehani. Fifteen-Year Journey – Precious Fragments by an Iranian Group of Artists

Two exhibitions at CAP Contemporary Art Platform:
1_Amira Behbehani. Fifteen-Year Journey
2_Precious Fragments

1_Hosted under the patronage of His Excellency the French Ambassador Mr. Christian Nakhlé.

Contemporary Art Platform is honored to invite you to the opening of A Fifteen-Year Journey: The Art of Amira Behbehani
Time: 7:00 – 9:00pm
Exhibition dates: 10/11/2016 – 21/12/2016
Location: Contemporary Art Platform / Main Exhibition Space

Amira’s first solo in seven years is an exhibition curated by Simindokht Dehghani that promises to take it’s visitors on a voyage that started off as an homage to the awakening of all her feelings and senses then transpired into a celebration of trials and errors. One of the most interesting aspects of Amira Behbehani as an artist, aside from her autodidacticism, is her unyielding engagement in the production of her art and her bravery in its presentation and exhibition. We all draw and paint as children without giving any thought to how our work develops, how it is received or perceived.

2_Contemporary Art Platform is honored to invite you to the opening of Precious Fragments by an Iranian Group of Artists:

Exhibition dates: 10/11/2016 – 13/12/2016
Location: Contemporary Art Platform / Art room

Precious Fragments are memories;
Memories of the past recalled because of an experience in the present;
Precious Fragments are spontaneous;
They are accompanied by surprise
They are involuntary;
Precious Fragments can’t be thought;
They can only be experienced;
Precious Fragments are sometimes pleasant;
And sometimes they are not;
But they are always a way through to another memory.

Precious Fragments is an exhibition of seven contemporary artists from Iran. Each work recalls an experience of the past; a mother; a poem; a resistance; an artwork, a building or a sign.

Contemporary Art Platform Kuwait
Industrial Shuwaikh, Block 2, Street 28
Life Center (same building as Eureka), Mezzanine
T: +965 2492 5636

report by amaliadilanno

28
Nov

Fabio Mauri. Retrospettiva a luce solida

Un’ampia mostra retrospettiva, dedicata ad uno dei più grandi artisti contemporanei, influente e seminale esponente delle neo-avanguardie della seconda metà del XX secolo.

a cura di LAURA CHERUBINI, ANDREA VILIANI
Retrospettiva a luce solida è il titolo della mostra monografica dedicata dal Madre nel mese di novembre a Fabio Mauri (Roma, 1926-2009), magistrale esponente delle neo-avanguardie della seconda metà del XX secolo, la cui pratica artistica – incentrata sull’esplorazione dei meccanismi dell’ideologia e dei linguaggi della propaganda, come dell’immaginario collettivo e delle strutture delle narrazioni mediatiche – lo impone fra i più autorevoli e seminali artisti contemporanei a livello internazionale. Organizzata in stretta collaborazione con lo Studio Fabio Mauri, la mostra – la più completa mai dedicata all’artista dopo la retrospettiva, nel 1994, alla GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma – comprenderà, in un percorso appositamente concepito per i singoli spazi del museo, più di cento fra opere, installazioni, azioni e documenti, che indagano la storia moderna e contemporanea nei suoi conflitti e nelle sue contraddizioni e trovano nell’intrinseco rapporto fra dimensione storica e dimensione etica il loro fulcro intellettuale ed emotivo.

La prima sezione della mostra, articolata su tutto il terzo piano del museo, presenterà le opere con cui l’artista esplora, in un’iniziale tangenza con le estetiche pop, la dimensione della comunicazione di massa, fino alla serie degli Schermi (anni Cinquanta-Settanta), che si integrano con i “tappeti-zerbini” e una pluralità di altre opere e materiali connessi alla ricerca sui significati e le dinamiche della proiezione, tra cui i principali lavori scultorei e installativi della fine degli anni Sessanta (Cinema a luce solida, 1968; Pila a luce solida, 1968; Colonne di luce, 1968; Luna, 1968). Il percorso culmina in una selezione delle opere con proiezioni, da quelle in 16mm degli anni Settanta su corpi ed oggetti (vari esemplari di Senza e Senza ideologia, la ricostruzione di Intellettuale-Pasolini), fino alle più recenti proiezioni su supporto digitale e di impianto ambientale.

Una seconda sezione della mostra, al piano terra del museo nella sala Re_PUBBLICA MADRE e presso le tre sale del mezzanino, sarà costituita da opere, installazioni, azioni e documentazioni afferenti alla matrice performativa e teatrale della ricerca dell’artista, con una selezione delle più importanti azioni di Mauri, che verranno presentate periodicamente, durante l’arco della mostra, o attraverso materiali documentari e alcune essenziali componenti “sceniche”. Integrandosi in questo ambiente dinamico saranno presentate anche alcune installazioni fondamentali, quali Manipolazione di Cultura (1971-1973, terminato nel 1976), l’opera-libro Linguaggio è guerra (1975), Oscuramento (1975), Il Muro Occidentale o del Pianto (1993), Teatrum Unicum Artium (2007). Spazio di indagine verrà inoltre dedicato alla prima opera teatrale di Mauri, monologo in due tempi e due scene intitolato L’isola (1960).Continue Reading..

28
Nov

ANTONIO MARRAS: NULLA DIES SINE LINEA

VITA, DIARI E APPUNTI DI UN UOMO IRREQUIETO

22 OTT 2016 – 21 GEN 2017

Installazioni edite e inedite, disegni, schizzi e dipinti raccontano il percorso visivo di Antonio Marras.

Mostra antologica di opere d’arte, realizzate negli ultimi vent’anni, che racconta il percorso visivo di Antonio Marras.

Il titolo della mostra è la famosa frase di Plinio il Vecchio riferita al pittore Apelle che “non lasciava passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea”, suggerisce come lo stesso ha sempre affiancato alla sua attività di stilista quella di artista. Curata da Francesca Alfano Miglietti, l’esposizione vuole essere come lei stessa dichiara: “un’esperienza totalizzante, un viaggio in un mondo suggestivo e provocatorio (suggestivo perché provocatorio), a volte assoluto, a tratti spregiudicato”.

Antonio Marras, conosciuto come “il più intellettuale degli stilisti italiani”, è noto soprattutto per le sue contaminazioni tra i mondi che compongono l’universo creativo: dal cinema alla poesia, dalla storia all’arte visiva. E proprio quest’ultima è la protagonista della mostra. Più volte Marras ha partecipato ad esposizioni e ha lui stesso organizzato mostre ed eventi. Vincitore del Premio Francesca Alinovi, protagonista di una delle ultime Biennali di Venezia, Marras si colloca al centro di un universo poetico teso fra linguaggi diversi, sospeso tra sconfinamenti da una materia all’altra, da una tecnica all’altra, da un’espressività all’altra.

Scrive nel suo testo Francesca Alfano Miglietti: “Per Marras tutto diventa materiale artistico: la sua storia personale, la sua isola, i suoi cani, gli orizzonti, il mare, la storia, gli stracci, i rapporti, le relazioni. Tutti gli ambiti che ha avvicinato, o da cui è avvicinato, divengono materiali da usare al pari del collage, della fotografia, dell’objet trouvèe, della pittura, della scultura, dell’installazione… Materiali con cui ha un rapporto fisico, uno scontro corpo a corpo, con cui conduce quello scontro capace di far nascere un incontro. Un incontro unico e personale. (…) tutto il suo lavoro ha a che fare con la luce… nonostante le ombre e le penombre… una qualità di luce capace di intrecciare una sterminata curiosità intellettuale e una rara potenza creativa”.

Per la mostra della Triennale Antonio Marras, insieme a una serie di installazioni edite e inedite, ha rielaborato più di cinquecento disegni e dipinti, realizzati nel corso degli anni, montandoli su vecchie cornici su cui è intervenuto intessendoli con le più disparate stoffe e appendendoli lungo le pareti della Curva della Triennale, testimoni e al tempo stesso narratori della vita raccontata nelle “stanze”, installazioni con finestre, porte, pertugi, abitate da vecchi abiti (nessuno disegnato da lui) e oggetti di varia natura e foggia. In un allestimento fluido, esso stesso un’opera d’arte, che si estende per più di 1.200 metri quadrati, sono esposti anche gli incontri e le relazioni di Marras, come quello con Maria Lai e Carol Rama, due figure che hanno per prime sollecitato Marras a esporre opere tenute segrete.Continue Reading..

23
Nov

Isabella Nazzarri. Vita delle forme

a cura di Ivan Quaroni

Sabato 3 Dicembre 2016 ore 18.30, C2 Contemporanea in collaborazione con ABC-ARTE inaugura la mostra personale di Isabella Nazzarri: Vita delle Forme a cura di Ivan Quaroni.

Che la forma non debba essere considerata come un segno portatore di significato, ma un contenuto essa stessa, lo sosteneva già Henri Focillon nel 1943, anno in cui dava alle stampe le Vie des Formes. Isabella Nazzarri ha realizzato, per lo spazio di C2, un nuovo ciclo di acquerelli su carta di medie e grandi dimensioni che rappresentano una riflessione sul valore cognitivo della forma e sul suo autosignificarsi. Riprendendo il concetto di illusione – e insieme quello di astrazione ambigua – già affrontato nella precedente mostra “Principio di indeterminazione” l’artista ha realizzato dei grandi acquerelli simili ad arazzi e stoffe, dove la forma viene percepita inizialmente come ornamento apparente per mostrare successivamente il proprio contenuto.

Le nuove opere del ciclo “Innesti” hanno una struttura schematica simile a quella dei pattern geometrici e delle texture dei tessuti. Le forme sono, infatti, distribuite sulla superficie della carta con una certa regolarità, tanto da produrre un’impressione ornamentale. Tuttavia, l’impatto esornativo si dissolve non appena ci avviciniamo all’opera per osservare la singolarità di tali forme. Forme la cui natura biomorfica, lo abbiamo detto, rimanda immediatamente alla complessione di microorganismi come i germi, i bacilli e i microbi, a qualcosa, insomma, che non ha nulla a che vedere con la gradevolezza dei florilegi ornamentali degli arazzi o della carta da parati, ma che piuttosto provoca nell’osservatore una sensazione d’inquietudine. Le sue forme liberate sembrano ora muoversi in un campo più vasto e, allo stesso tempo, convergere verso un ipotetico centro spaziale. Soprattutto negli acquerelli più grandi si ha la sensazione che la loro distribuzione non sia affatto casuale, ma che anzi segua una logica direzionale, per quanto aleatoria. Ecco perché l’impianto esornativo resta flebile, come un’impressione o un’illusione. Quello che emerge è il contrasto tra l’apparente schema d’insieme, statico come ogni impianto decorativo, e il caotico affastellarsi di forme differenti, che trasmettono un senso di pulsante, e insieme perturbante dinamismo. Questa antinomia, questa contraddizione che solo una fertile prassi sperimentale può generare, è uno degli aspetti più interessanti della recente indagine dell’artista.

In occasione della mostra ABC-ARTE pubblica il catalogo bilingue con la riproduzione di tutte le opere esposte e il testo critico del curatore Ivan Quaroni.Continue Reading..

19
Nov

Diamante Faraldo. Win back

MAAB Gallery è lieta di presentare, negli spazi di via Nerino 3 a Milano, la mostra personale di Diamante Faraldo, Win back.

L’analisi della storia e una riflessione profonda sull’evoluzione e sul concetto di Occidente, unite a un’indagine sul ruolo dell’artista, costituiscono il fil rouge della ricerca artistica condotta da Diamante Faraldo (Aversa, 1962).

Il ciclo dei lavori, presentati da MAAB Gallery, è ispirato alla figura di Orfeo, uno dei topos della cultura occidentale e rappresentazione dell’artista per antonomasia. Così come colui che, noncurante del divieto impostogli dagli Dei, mentre si trova sulla soglia degli inferi, si volta indietro verso l’amata Euridice, allo stesso modo l’artista volge il suo sguardo verso il passato, verso la nostra storia, ripercorrendola lentamente, in ogni sua sfumatura. Così, con le sue opere, Faraldo contrasta il bombardamento di immagini cui è sottoposta la società contemporanea. Per questo le sue sculture sono rese con materiale austeri, lavorati in modo da causare una perdita di percezione dei confini e i disegni sono miniaturizzati, obbligandoci a una visione ravvicinata e attenta.

Le sculture esposte, create appositamente per la mostra, sono realizzate prevalentemente in marmo con inserti di camera d’aria e, talvolta, bronzo, ebano e petrolio. Materiali aulici e antichi, simbolo di potere e classicità, messi a confronto, in un dialogo serrato, con le materie dell’oggi, assai più duttili e austere, frutto dell’era industriale. Completano il percorso espositivo alcuni disegni realizzati con la grafite e dotati, sul fronte, di una lente d’ingrandimento che ne stravolge la visione.

L’esposizione è accompagnata da un catalogo bilingue (italiano e inglese), con testi di Arianna Baldoni, Jacqueline Ceresoli, Angel Moya Garcia, Rosella Ghezzi e Gianluca Ranzi.

MAAB Gallery
via Nerino 3, 20123 Milano
Tel. +39 02 89281179
gloria@artemaab.com

Opening: giovedì 15 dicembre 2016 ore 18
Dal lunedì al venerdì dalle 10.30 alle 18
Sabato su appuntamento

Image: Diamante Faraldo, Inscape, 2016, marmo bianco di Thassos e camera d’aria, 2 x cm 72 x 54 x 7

20
Ott

Maria Lai. Sul filo del mistero

«I grovigli esprimono la mia tensione verso altri spazi» diceva Maria Lai. Nei primi anni Sessanta le sue mani hanno cominciato a intessere storie misteriose. Storie fatte di uomini fortemente legati alla terra. Ma anche di uomini tesi a elevare il proprio spirito verso nuove dimensioni.

Signora dell’arte, dei fili e dei telai. Signora delle montagne, nella Sardegna rupestre, Maria Lai (1919-2013) è stata una delle interpreti più intense nel mondo della ricerca estetica contemporanea. Un’artista lontana dalle mode, difficilmente riconducibile a un gruppo o a un movimento, ma il cui carisma l’ha consacrata nell’empireo dei grandi nomi del Novecento.

La Galleria San Fedele, nell’ambito del suo programma dedicato ai maestri dell’arte contemporanea votati a una dimensione profonda della ricerca spirituale ed estetica, presenta un omaggio a questa grande autrice.

I temi eterni dell’identità, delle origini, della femminilità e della memoria; i temi celesti, i motivi cosmici, le geografie di un universo parallelo, sono alla base di un nucleo di opere popolate di spiriti benigni, di donne e pastori. Abilissima nel passare dal piccolo formato dei libri di cotone, cuciti con testi segreti e sacri, alla dimensione monumentale della land art, ha firmato installazioni e performance, come la celebre Legarsi alla montagna, del 1981, in cui stese un lunghissimo nastro celeste per unire le case del paese di Ulassai alle rocce del Tacco, ossequio alla natura, un rito collettivo per scongiurare frane e sigillare con la montagna un patto di convivenza.

Meraviglioso il valore sacrale conferito da Maria Lai al nastro e al tessuto, simboli di comunione e testimoni dell’origine antropologica del legame sancito fra l’uomo e il paesaggio che lo accoglie.Continue Reading..

05
Set

Frida Parmeggiani. Figurazioni tessili

Dal 16 settembre 2016 all’8 gennaio 2017
Merano celebra Frida Parmeggiani
in occasione del suo 70°compleanno

Gli spazi di Merano Arte accolgono una serie di nuove creazioni realizzate da una delle più importanti e celebrate costumiste teatrali. E al Palais Mamming Museum, i progetti How to become Frida, Approcci a Frida e gli scatti di Elisabeth Hölzl, ripercorrono le fasi di realizzazione dei costumi e la lunga collaborazione con il grande regista americano Robert Wilson.

Dal 16 settembre 2016 all’8 gennaio 2017, Merano celebra Frida Parmeggiani, una delle più importanti e famose costumiste teatrali, di origini meranesi, in occasione del suo 70° compleanno.

La mostra, dal titolo Figurazioni tessili,seconda tappa di un percorso che tocca il Mozarteum di Salisburgo dal 21 luglio al 3 settembre, si divide in quattro sezioni ospitate rispettivamente da Merano Arte e dal Palais Mamming Museum.

Disegnatrice di costumi tra le più apprezzate a livello mondiale, nel corso della sua quarantennale carriera, Frida Parmeggiani ha collaborato con registi del calibro di Rainer Werner Fassbinder, Samuel Beckett e Andrè Heller, allestendo già nel 1978 la rappresentazione della Lohengrin di Wagner per proseguire, nel 1987 con tutte le quattro parti del ciclo operistico wagneriano presso i Bayreuther Festspiele. Per i Salzburger Festspiele ha creato dei costumi fantastici e indimenticabili, come quelli per le rappresentazioni di Herzog Blaubarts Burg, Pelléas et Mélisande, Mitridate e La morte di Danton. Frida Parmeggiani ha inoltre lavorato con artisti quali Lou Reed, David Byrne e Tom Waits.
Dal 1987 Parmeggiani ha realizzato i propri costumi, quasi esclusivamente per gli allestimenti teatrali del maestro americano Robert Wilson. La collaborazione tra i due ha condotto a una serie di rappresentazioni memorabili ad Amburgo, Zurigo, Salisburgo, Parigi, Madrid e New York, apportando nuovi parametri all’interno del mondo internazionale dell’Opera e del Teatro, sia in ambito costumistico che nell’uso delle luci.
Il percorso espositivo allestito a Merano Arte presenterà alcune nuove creazioni, composte da 13 figure singole, delle vere e proprie sculture tessili, attraverso le quali si analizzerà il rapporto di tensione tra natura, spazio, volume e tessuti.
Per la prima volta, Frida Parmeggiani ha potuto lavorare senza rapportarsi con attori o confrontarsi con sceneggiature, trovandosi libera di esprimere, in modo statico e scultoreo, il proprio linguaggio formale minimalista. Tessuti pregiati – feltro di lana lievemente melangiato, panno di lana pesante, lino sottile, doppia organza di seta o seta con fibra di ananas – in combinazione con elementi in metallo si sviluppano come installazioni di elevato livello estetico.
Cromaticamente giocate sul bianco e nero, le opere tessili indicano una moltitudine di variazioni in modo da divenire, al tempo stesso, tessuto e scultura. Accanto a questi elementi formali, i suoi lavori racchiudono al loro interno anche un aspetto autobiografico, esprimendo le esperienze e i sogni della propria creatrice.
L’allestimento è stato sviluppato in collaborazione con il Dipartimento di Scenografia e Costumistica, Cinema e Allestimento architettonico dell’Università Mozarteum di Salisburgo sotto la supervisione del professor Henrik Ahr insieme agli studenti Anna Brandstätter, Rubi Brockhausen, Miriam Hölzl, Charlina Lucas, Lisa Nickstat e Amelie Ottmann.

Approcci a Fridaè il titolo di una delle 3 sezioni ospitate al Palais Mamming Museum di Merano. Qui, attraverso cinque brevi documentari, realizzati dagli studenti dell’Università Mozarteum di Salisburgo sotto la guida del professore Alexander du Prel, si racconta la genesi delle nuove creazioni, l’ambiente dietro le quinte e la lunga, simbiotica collaborazione con Robert Wilson. Il progetto How to Become Frida consiste in una serie di installazioni realizzate da 6 studenti dell’Università Mozarteum di Salisburgo, che approfondiscono le straordinarie capacità artistiche di Frida Parmeggiani. L’ultima sezione intitolata Working with Frida è dedicata alle sequenze fotografiche realizzate dall’artista Elisabeth Hölzl che, nel corso di due anni, su incarico di Merano Arte, ha documentato la nascita e realizzazione dei costumi.Continue Reading..