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19
Dic

VICINANZE. Studi per un’idea di attraversamento

Venerdì 20 dicembre alle 18.30, presso il neo-nato spazio Off Gallery in via Raimondo De Sangro, inaugura la mostra “VICINANZE. Studi per un’idea di attraversamento” a cura di Marcello De Masi. In questa occasione di presentazione di un nuovo spazio per l’arte, Chiara Arturo e Cristina Cusani propongono di aprire il dialogo sul concetto di confine e di attraversamento per un’idea di Mediterraneo come luogo di condivisione. Il percorso inizia con un estratto della mostra “Attraverso il Giardino. Due ri flessioni naturali”, presentata lo scorso agosto ai Giardini Ravino di Ischia. “Attraverso il Giardino” rappresentava il prologo di un’idea per l’attraversamento, in cui le due autrici si interrogavano sul concetto di confine come soglia, mostrandone la complessità e partendo dal giardino come primo luogo di ri flessione. Come spiegava il curatore nel suo testo: “Se è vero che il giardino, ovunque nel mondo, signi fica al contempo il recinto e il paradiso, è proprio attraverso le sue soglie che inizia la ricerca delle due autrici. Che sia confine, limite, divisione o frontiera, il  passaggio viene rimesso in discussione: mostra le sue fragilità, le sue ambiguità, viene spezzato, oltrepassato, eppure c’è, resta quasi necessario, anzi chiama l’attenzione, interroga per chiedere una reazione, un intervento, nel tempo: a volte anche lui cerca la sua pace, il suo silenzio. Necessita di una cura. Mostra la complessità attraverso lo scambio delle materie che si incontrano, si toccano, mercanteggiano scambiandosi vita e morte. D’altronde è coerente, perché qui interviene l’eccellenza dell’artista: egli esercita la sua arte nel trattamento dei limiti.” Nella prima fase le due autrici rivolgevano il loro sguardo sul giardino e -selezionando le fotografie dal loro archivio, scavando in una visione già presente nel loro percorso- ponevano le basi per iniziare una ricerca sul riconoscimento e la comprensione del confine-soglia. Adesso proseguono con una fase di confronto, aprendo uno spazio di condivisione e lavorando sulle vicinanze. La mostra, che inaugura giovedì 20 dicembre alla Off Gallery, rappresenta lo stato di passaggio tra due momenti di uno stesso progetto. Le autrici partono dalla necessità di confrontarsi per avviare uno spazio di dialogo. Le fotografie sono piccoli studi e diventano dunque degli spunti per iniziare un discorso, sono immagini che fungono da punteggiatura, da congiunzione e servono ad unire e a tenere insieme. Gli studi si porgono allo sguardo del fruitore in forma di dittico, si osservano in coppia, si pongono come sussurri, bisbigli, in cui è evidente l’inizio di un’analisi del Mediterraneo come spazio di attraversamento.

Chiara Arturo (Ischia, 1984)
Durante gli anni dell’università, in parallelo con gli studi in Architettura alla Federico II di Napoli, si concentra sulla fotografia come mezzo espressivo, con un particolare interesse per il paesaggio. Integra la sua formazione nel campo delle arti visive e inizia a partecipare ad alcune esposizioni collettive. Si laurea con lode con una tesi sperimentale in Landscape Urbanism sulla contaminazione ambientale in Campania. Nel 2012 entra in LAB, il Laboratorio Irregolare di Antonio Biasiucci, una masterclass in ricerca personale che cambierà radicalmente il suo approccio alla fotogra fia. Tra il 2014/15 espone con LAB al Festival Internazionale FotoGrafia di Roma e al SIFest di Savignano sul Rubicone. Alla fine del 2014 inizia a collaborare con Antonio Biasiucci come sua assistente. Nel 2015 la prima personale alla Galleria Eloart (Ischia, NA). Nel 2016 entra nella collezione Imago Mundi Campania e partecipa come artista visiva al Live Artena. Nel 2017 espone con Imago Mundi allo Spazio ZAC di Palermo e al Museo MADRE di Napoli; viene selezionata tra gli autori del Festival di fotogra fia contemporanea di Gonzaga ed è invitata a partecipare alla sua prima residenza artistica (BOCs Art di Cosenza). Dal 2017 è rappresentata dalla Galleria Heillandi di Lugano. Nel 2018 entra a far parte della collezione Dimensione Fragile della Biblioteca Vallicelliana di Roma. Attualmente lavora ai suoi progetti personali e su commissione. La sua ricerca personale è incentrata sull’elemento acqua e un’idea di isola, sulla percezione del paesaggio e degli spazi, sull’archiviazione del ricordo, sul modo in cui percezione e archiviazione in fluiscono sulla costruzione dell’immaginario; partendo da un’indagine introspettiva, con metodo cartografico, si focalizza sulle geogra fie del pensiero, le tracce, il viaggio, la visione, le ferite, i paesaggi interiori. Attraverso fotografia, mixed media, video e installazione, esplora temi e condizioni dell’esistenza come il transito e la sosta, l’imponenza dei paesaggi materiali e la loro fragilità, analizza poeticamente ciò che la circonda, il territorio d’appartenenza e le mete raggiunte. Vive a Napoli.

Cristina Cusani (Napoli, 1984
Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione all’università La Sapienza di Roma si dedica allo studio della fotografia prima all’University of the Arts, London College of Communication a Londra, successivamente all’Outside School a Roma e all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Espone in alcune mostre collettive tra cui l’XI Premio Cairo a Milano. Nel 2012 segue il Laboratorio Irregolare con Antonio Biasiucci da cui è nata la mostra itinerante Epifanie, esposta anche durante la XIII edizione del Fotografia – Festival Internazionale di Roma e al SIFest di Savignano sul Rubicone. Nel 2015 viene selezionata per la residenza d’artista BoCs Art dove realizza due opere per il Bocs Art Museo di Cosenza. E’ finalista di importanti premi come il premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee e Un’opera per il Castello ed entra a far parte di alcune Collezioni di Arte Contemporanea come Imago Mundi Art e Dimensione Fragile della Biblioteca Vallicelliana di Roma. Nel 2017 vince il Premio Sidicini per l’Arte Contemporanea e nel 2018 vince il Premio Residenza alla Fondazione Bevilacqua la Masa. Nella sua indagine fotografica utilizza le esperienze quotidiane come punto di partenza per analizzare il signi ficato dell’essere umani partendo da un’analisi personale che si traduce nell’espressione di temi universali. Nelle sue opere la finzione e la realtà s’incontrano, i signi ficati cambiano, il passato e il presente diventano una cosa sola. Utilizzando un linguaggio poetico e talvolta metaforico, realizza fotografie che sono leggibili su più livelli e portano lo spettatore ad interrogarsi, creando in chi guarda una reazione in equilibrio tra il riconoscimento e l’alienazione. Il suo percorso artistico è caratterizzato da una grande sperimentazione di tecniche fotografiche, ma la sua ricerca vuole andare oltre il mezzo utilizzato e per questo comincia ad ampliare i suoi orizzonti artistici progettando opere/installazioni site-speci fic. Attualmente vive e lavora tra Napoli e Roma.

Marcello De Masi (Napoli, 1987)
Fotografo, docente e curatore. Nel 2011 si è laureato in Cinema presso l’Università IULM di Milano; città dove, tra studio e lavoro, ha vissuto per diversi anni. Lavora con Giovanni Chiaramonte da Marzo 2011. È stato Docente di Teoria e Storia della Fotografia – Drammaturgia dell’immagine presso l’Università IULM, la Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) di Milano e l’Università d’Architettura di Bologna. È cofondatore e socio dell’Associazione Culturale Presente Infinito insieme ad altri cinque amici fotografi (www.presenteinfinito.it). Ha pubblicato i propri scritti e le proprie immagini principalmente tra l’Italia, gli Stati Uniti e la Francia, in riviste, libri e mostre. Porta avanti progetti personali e collettivi principalmente nel campo della fotografia e del cinema, ma che coinvolgono altre forme espressive ed artistiche: tra questi progetti Presente Infinito e Napoli – Nuova Luce. Dopo essere tornato nella sua città natale per alcuni anni tra il 2014 ed il 2017, attualmente vive a Parigi.

“VICINANZE. Studi per un’idea di attraversamento”
fotografie di Chiara Arturo e Cristina Cusani
a cura di Marcello De Masi
Off Gallery – via Raimondo De Sangro, 20 (NA)
Inaugurazione 20 dicembre ore 18:30
Su appuntamento, fino al 14 febbraio 2019

18
Dic

Bruno Munari. I colori della luce

La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, in collaborazione con la Fondazione Plart, nell’ambito dell’edizione 2018 di Progetto XXI, presenta la mostra BRUNO MUNARI. I colori della luce, a cura di Miroslava Hajek e Marcello Francolini, realizzata presso il Museo Plart (Via Giuseppe Martucci 48, Napoli).

Progetto XXI è la piattaforma attraverso la quale la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee si propone, dal 2012, di esplorare la produzione artistica emergente, nella sua realizzazione teorico-pratica, e di analizzare l’eredità delle pratiche artistiche più seminali degli ultimi decenni, nella loro esemplare proposta metodologica. Il progetto intende così contribuire alla produzione e alla diffusione di narrazioni e storiografie alternative del contemporaneo e alla definizione di un sistema regionale delle arti contemporanee, basato sulla collaborazione e l’interscambio fra istituzioni pubbliche e private operanti in Regione Campania. In particolare, la collaborazione con Fondazione Plart ha permesso di ampliare i pubblici di riferimento e di approfondire nuove linee di ricerca, esplorando le relazioni in costante aggiornamento fra arte, architettura e design con l’obiettivo di creare le premesse per progetti museali in grado di abbracciare l’ampio spettro di queste relazioni. Oltre ad avviare, con una pluralità di soggetti di eccellenza, una riflessione sistematica sulle tematiche del restauro nelle arti contemporanee e a supportare, quindi, l’affermazione delle nuove professionalità ad esse connesse.

Le proiezioni dirette e quelle polarizzate sono presentate per la prima volta nel 1953 a Milano nello studio di architettura B24, che allora era uno spazio per le esposizioni del MAC-Movimento per l’arte concreta, e poi nel 1955 al MoMA di New York con il titolo di Munari’s Slides, nell’ambito di una mostra personale. Successivamente saranno presentate nel 1955 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma ed infine a Tokyo, Stoccolma, Anversa, Zurigo, Amsterdam.

Questa parte peculiare della complessa e variegata produzione artistica di Bruno Munari sarà per la prima volta presentata a Napoli, a seguito della ricerca condotta dalla Fondazione Plart, che ha svolto un accurato lavoro scientifico di digitalizzazione dei vetrini che saranno proiettati in specifici ambienti della mostra. Trattandosi di opere risalenti a oltre cinquant’anni fa (Proiezioni Dirette, 1950; Proiezioni Polarizzate, 1953), il lavoro di digitalizzazione si è reso necessario anche per la conservazione di queste opere, vista la loro precaria costituzione materiale. Inoltre, la digitalizzazione consente di portare alla conoscenza del pubblico un particolare aspetto del lavoro di Munari rimasto sconosciuto per molto tempo, colmando, altresì, i vuoti e le mancanze presenti nella ricostruzione non solo di alcuni aspetti della sua ricerca ma più in generale della storia dell’arte contemporanea, soprattutto nel rapporto arte-tecnologia. Infatti, il lavoro di Munari che sarà presentato in mostra ha inciso in modo determinante sui successivi sviluppi dell’Arte cinetica in Francia e dell’Arte programmata in Italia. In più, gli ambienti realizzati per mezzo di proiezione diretta o di proiezione polarizzata hanno anticipato in modo assolutamente seminale soluzioni proprie delle video-installazioni multimediali e, di conseguenza, delle più recenti metodologie e linee di ricerca dell’arte interattiva, come il Mapping e la Kinect-Art.

Il percorso espositivo del Plart è arricchito dalla presenza di alcune opere esemplificative di quella ricerca che condurrà Munari, già a partire dagli anni Trenta e Quaranta, ad evolvere in senso ambientale l’opera: Macchina Inutile (1934), Tavola Tattile (1938), Macchina Aritmica (1947), sono opere che dichiarano una volontà di uscita dalla bidimensionalità, che raggiungerà il suo culmine nell’ideazione di Concavo-Convesso (1947). Punto di luce, un dipinto olio su masonite del 1942 rivela in nuce le ricerche formali a cui Munari arriverà proprio con le proiezioni dirette e polarizzate, nelle quali, tra l’altro, è presente una ricerca di sensibilizzazione, in senso artistico e visuale, delle materie plastiche colorate che sono usate per trasparenza. Nelle Proiezioni Dirette, infatti, la plastica è impiegata a seconda del suo colore, per essere investita dalla luce. mentre nelle Proiezioni Polarizzate la plastica è il mezzo per estrarre il colore dalla luce. Munari fonde così, materia e luce producendo opere il cui messaggio finale oltrepassa la fisicità dell’opera. La presenza in mostra di opere come Flexy, multipli realizzati in plastica a partire dagli anni Sessanta, e Fossile del 2000 (1959), in cui componenti elettroniche e materiali metallici sono immersi in pezzi di plexiglass di forma irregolare e bruciato, dichiarano il continuo interesse di Munari nei confronti delle materie plastiche che diventano, con il tempo, elementi fondamentali nella comunicazione visiva in quanto determinano effetti cromatici variabili.

Nei mesi successivi all’inaugurazione sarà pubblicato il catalogo della mostra con prestigiosi interventi che inquadreranno criticamente gli aspetti principali ed essenziali dell’esposizione.

Bruno Munari (Milano, 1907-1998), designer, scrittore e uno dei massimi protagonisti dell’arte programmata e cinetica, è autore di una ricerca multiforme che, al di là di ogni categorizzazione, definisce la figura di un intellettuale che ha interpretato le sfide estetiche del Novecento italiano, esplorando la relazione fra le discipline e l’interscambio fra il concetto di opera e quello di prodotto, fra forma e funzione.La mostra presentata al Plart analizza un aspetto in particolare e uno specifico corpo di lavori di Munari, le Proiezioni a luce fissa e le Proiezioni a luce polarizzata realizzate negli anni Cinquanta del secolo scorso, con cui porta a compimento la sua ricerca volta a conquistare una nuova spazialità oltre la realtà bidimensionale dell’opera. L’artista, esplorando la nozione di dipingere con la luce, arriva dapprima, nel 1950, al processo di smaterializzazione dell’arte attraverso l’uso di proiezioni di diapositive intitolate Proiezioni Dirette: composizioni con materiali organici, pellicole trasparenti e colorate in plastica, pittura, retini, fili di cotone fermati fra due vetrini. Questi piccoli collage erano proiettati al chiuso e all’aperto, sulle facciate di edifici, dando una sensazione di monumentalità e conquista di un’inedita spazialità, tridimensionale e pervasiva, dell’opera. Nasce così la “pittura proiettata” di Munari che, progredendo nelle sue indagini, giunge al suo culmine nel 1953, quando scopre e mette a punto per la prima volta il modo in cui scomporre lo spettro di luce attraverso una lente Polaroid. Utilizzando, infatti, un filtro polarizzato movibile applicato a un proiettore per diapositive, Munari ottiene le Proiezioni Polarizzate con cui compie l’utopia futurista di una pittura dinamica e in continuo divenire.

La mostra è realizzata e finanziata integralmente con fondi POC 2014-20 (PROGRAMMA OPERATIVO COMPLEMENTARE) Regione Campania

TITOLO DELLA MOSTRA: BRUNO MUNARI. I colori della luce

PROMOSSO DA: Fondazione Donnaregina in partnership con Fondazione Plart
A CURA DI: Miroslava Hajek, Marcello Francolini
SEDE ESPOSITIVA: Fondazione Plart, via Giuseppe Martucci 48, Napoli, Italia
TEL E INFO:081-19565703, info@plart.it
COSTI INGRESSO: Gratuito per la mostra
Per informazioni consultare i siti www.fondazioneplart.ite www.madrenapoli.it
DATE DI APERTURA: 29 novembre 2018 – 20 marzo 2019
ORARI DI APERTURA: da martedì a venerdì ore 10.00 – 13.00 / ore 15.00 – 18.00
Sabato ore 10.00 – 13.00

Ufficio stampa Fondazione Plart
Culturalia di Norma Waltmann
051 6569105, 392 2527126
info@culturaliart.com

Ufficio stampa Fondazione Donnaregina/ Museo Madre
Enrico Deuringer
Sarah Manocchio
ufficiostampa@madrenapoli.it

Immagine: BRUNO MUNARI Vetrini a luce polarizzata, 1953 Materiali vari Courtesy Miroslava Hajek

13
Dic

Anthony McCall. Split Second

Sean Kelly is delighted to announce Split Second, Anthony McCall’s sixth solo exhibition with the gallery. Occupying the entire space, the exhibition features two new ‘solid-light’ installations, McCall’s seminal horizontal work Doubling Back, 2003, and a curated selection of black and white photographs, a number of which will be exhibited in the US for the first time. There will be an opening reception on Thursday, December 13, 6-8pm. The artist will be present. Anthony McCall is widely recognized for his ‘solid-light’ installations, a series he began in 1973 with the ground-breaking Line Describing a Cone, in which a volumetric form composed of projected light slowly evolves in three-dimensional space. In Split Second, McCall further expands the development of this series, creating a dialogue between two new works, Split Second and Split Second (Mirror). Split Second consists of two separate points of light emanating from the top and bottom of the gallery’s back wall. The projections expand to reveal a flat blade and an elliptical cone, which combine to create a complex field of rotating, interpenetrating planes in space. Split Second (Mirror) is a single projection in which the “split” is created by interrupting the throw of light with a wall-sized mirror. The plane of light is reflected back onto itself, creating a shifting volumetric cone, which exists seamlessly both in real space and as a reflected object.  Doubling Back, 2003, first exhibited in the 2004 Whitney Biennale, is on view in the lower gallery. This work marked McCall’s return to making art following a more than twenty-year hiatus and was the genesis of a new series of films. The piece is distinguished by the direct way in which it uses the architecture of the gallery as a framing device. Consisting of two identical animated wave drawings, the forms intersect as they travel slowly through one another, one moving horizontally, the other vertically to produce curving chambers and pockets of light that unfold against one side of the gallery. Each solid-light installation occupies a space where cinema, sculpture and drawing overlap. The visibility of these works is dependent upon mist produced by a haze machine, inducting the spectator into a three-dimensional field where forms gradually shift and turn over time. The selection of photographs in the front gallery includes images from McCall’s most recent series, Smoke Screen, 2018, which explores moments of intersection between smoke, projected light, and photography. These images relate to McCall’s photographs from the early 1970s, a selection of which will also be on view.

Anthony McCall lives and works in New York City. In the past year, his work has been recognized with solo exhibitions at The Hepworth Wakefield, United Kingdom, and Pioneer Works, Brooklyn, New York. McCall’s solo exhibitions include: Serpentine Gallery, London, United Kingdom; Hamburger Bahnhof, Berlin, Germany; Hangar Bicocca, Milan, Italy; Musée de Rochechouart, Rochechouart, France; the Eye Filmmuseum, Amsterdam, The Netherlands; LAC Lugano Arte e Cultura, Lugano, Switzerland; Les Abattoirs, Toulouse, France; the Nevada Museum of Art, Reno, Nevada; Moderna Museet, Stockholm, Sweden; and Tate Britain, London, United Kingdom. His work has been featured in group exhibitions at the Museum Moderner Kunst, Vienna, Austria; Kunsthaus Zurich, Zürich, Switzerland; Hamburger Bahnhof, Berlin, Germany, the Hirshhorn Museum, Washington, DC; the Museum of Modern Art, New York and the Whitney Museum of American Art, New York.

McCall’s work is represented in numerous collections including, amongst others, Tate, London, United Kingdom; the Museum of Modern Art, New York; the Museum für Moderne Kunst, Frankfurt, Germany; the Hall Art Foundation, New York; the Kramlich Collection, San Francisco, California; the Museu d’Art Contemporani de Barcelona, Spain; Art Gallery of New South Wales, Sydney, Australia; the Baltimore Museum of Art, Baltimore, Maryland; the Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington, DC; the Institut d’Art Contemporain, Villeurbanne/Rhône-Alpes, France; The Margulies Collection, Miami, Florida; the Moderna Museet, Stockholm, Sweden; the Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Paris, France; the Museum für Moderne Kunst, Frankfurt, Germany; Sammlung Falckenberg Collection of Art, Hamburg, Germany; SFMoMA, San Francisco, California; Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, Vienna, Austria; and the Whitney Museum of American Art, New York.

Anthony McCall. Split Second
DECEMBER 14, 2018 – JANUARY 26, 2019
OPENING RECEPTION: Thursday, December 13, 6-8pm

Sean Kelly Gallery
475 Tenth Avenue
New York NY 10018

13
Dic

Anthony McCall. Split Second

Sean Kelly is delighted to announce Split Second, Anthony McCall’s sixth solo exhibition with the gallery. Occupying the entire space, the exhibition features two new ‘solid-light’ installations, McCall’s seminal horizontal work Doubling Back, 2003, and a curated selection of black and white photographs, a number of which will be exhibited in the US for the first time. There will be an opening reception on Thursday, December 13, 6-8pm. The artist will be present. Anthony McCall is widely recognized for his ‘solid-light’ installations, a series he began in 1973 with the ground-breaking Line Describing a Cone, in which a volumetric form composed of projected light slowly evolves in three-dimensional space. In Split Second, McCall further expands the development of this series, creating a dialogue between two new works, Split Second and Split Second (Mirror). Split Second consists of two separate points of light emanating from the top and bottom of the gallery’s back wall. The projections expand to reveal a flat blade and an elliptical cone, which combine to create a complex field of rotating, interpenetrating planes in space. Split Second (Mirror) is a single projection in which the “split” is created by interrupting the throw of light with a wall-sized mirror. The plane of light is reflected back onto itself, creating a shifting volumetric cone, which exists seamlessly both in real space and as a reflected object.  Doubling Back, 2003, first exhibited in the 2004 Whitney Biennale, is on view in the lower gallery. This work marked McCall’s return to making art following a more than twenty-year hiatus and was the genesis of a new series of films. The piece is distinguished by the direct way in which it uses the architecture of the gallery as a framing device. Consisting of two identical animated wave drawings, the forms intersect as they travel slowly through one another, one moving horizontally, the other vertically to produce curving chambers and pockets of light that unfold against one side of the gallery. Each solid-light installation occupies a space where cinema, sculpture and drawing overlap. The visibility of these works is dependent upon mist produced by a haze machine, inducting the spectator into a three-dimensional field where forms gradually shift and turn over time. The selection of photographs in the front gallery includes images from McCall’s most recent series, Smoke Screen, 2018, which explores moments of intersection between smoke, projected light, and photography. These images relate to McCall’s photographs from the early 1970s, a selection of which will also be on view.

Anthony McCall lives and works in New York City. In the past year, his work has been recognized with solo exhibitions at The Hepworth Wakefield, United Kingdom, and Pioneer Works, Brooklyn, New York. McCall’s solo exhibitions include: Serpentine Gallery, London, United Kingdom; Hamburger Bahnhof, Berlin, Germany; Hangar Bicocca, Milan, Italy; Musée de Rochechouart, Rochechouart, France; the Eye Filmmuseum, Amsterdam, The Netherlands; LAC Lugano Arte e Cultura, Lugano, Switzerland; Les Abattoirs, Toulouse, France; the Nevada Museum of Art, Reno, Nevada; Moderna Museet, Stockholm, Sweden; and Tate Britain, London, United Kingdom. His work has been featured in group exhibitions at the Museum Moderner Kunst, Vienna, Austria; Kunsthaus Zurich, Zürich, Switzerland; Hamburger Bahnhof, Berlin, Germany, the Hirshhorn Museum, Washington, DC; the Museum of Modern Art, New York and the Whitney Museum of American Art, New York.

McCall’s work is represented in numerous collections including, amongst others, Tate, London, United Kingdom; the Museum of Modern Art, New York; the Museum für Moderne Kunst, Frankfurt, Germany; the Hall Art Foundation, New York; the Kramlich Collection, San Francisco, California; the Museu d’Art Contemporani de Barcelona, Spain; Art Gallery of New South Wales, Sydney, Australia; the Baltimore Museum of Art, Baltimore, Maryland; the Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington, DC; the Institut d’Art Contemporain, Villeurbanne/Rhône-Alpes, France; The Margulies Collection, Miami, Florida; the Moderna Museet, Stockholm, Sweden; the Musée National d’Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Paris, France; the Museum für Moderne Kunst, Frankfurt, Germany; Sammlung Falckenberg Collection of Art, Hamburg, Germany; SFMoMA, San Francisco, California; Thyssen-Bornemisza Art Contemporary, Vienna, Austria; and the Whitney Museum of American Art, New York.

Anthony McCall. Split Second
DECEMBER 14, 2018 – JANUARY 26, 2019
OPENING RECEPTION: Thursday, December 13, 6-8pm

Sean Kelly Gallery
475 Tenth Avenue
New York NY 10018

Image: You and I, Horizontal, 2005. Computer, computer script, video projector, haze machine. One cycle 50 minutes, in six parts (horizontal). Edition of 5 with 1 AP AMC-57

04
Dic

Riccardo Angelini. Pure Graphite

Presso Tomav – Torre di Moresco Centro Arti Visive si inaugura il 15 dicembre 2018 la personale dal titolo Pure Graphite dell’artista Riccardo Angelini.

Pure Graphite. le macchie impresse permangono
Via mistica, ovvero la contemplazione del mondo spirituale, e via razionale, la rappresentazione sintetica quindi dell’universo visibile, hanno da millenni ritratto un binomio dal quale è assai complicato prender le distanze. Scienza e religione son divenute due potenze separate che sublimano l’esistenza e creano differenze e varietà, verso una verità che non è mai per sua natura assoluta. Per la scienza tutto ciò che non viene passato al vaglio dell’osservazione empirica non rappresenta la realtà e questo non è di certo il pensiero che descrive il credo delle religioni. Ne L’Iniziazione, testo del 1904 che accoglie riuniti in un unico volume i saggi pubblicati da Rudolf Steiner, il Pensatore Veggente – così lo chiama Édouard Schuré – afferma che può succedere facilmente, per esempio, che taluno trovi che questa o quella notizia non si accordi con certi risultati scientifici dell’epoca presente; in realtà, non vi è nessun risultato scientifico in contraddizione con l’investigazione spirituale. In ogni uomo, secondo Steiner, esistono facoltà per accedere alla conoscenza dei mondi superiori e egli ne indica le modalità per avvicinarvisi. Un tentativo quindi di rendere tangibile e concreto questo processo di padronanza e consapevolezza di mondi altri che ogni uomo può raggiungere adoperandosi e sviluppando specifiche facoltà senza trascurare alcun dovere nella sua vita ordinaria. Il mondo dei sentimenti, dei pensieri e dei desideri è spesso inafferrabile e crea caos all’interno di ognuno, rimanendo in gran parte incosciente. L’irruzione dell’inconscio nella coscienza è talmente perturbatrice – perché poco adatta alla vita sociale – che la coscienza si ingegna a reprimere quelle manifestazioni verso le quali nutre un sentimento di vergogna […] scrive Aïvanhov; da qui la naturale riflessione su cosa, con grande forza, elimini totalmente questa vergogna e conduca spontaneamente ad una stretta connessione tra spirito e materia, ad uno sposalizio tra i due materialmente testimoniato, se non l’arte? A questi pensatori si lega il lavoro di Riccardo Angelini che ha approfondito la sua ricerca artistica attraverso un’indagine teorica che viene concretizzata nella forma. Dall’interno all’esterno, dalla sensazione alla realizzazione istintiva con l’uso della grafite fissata sul foglio. Ogni opera è un monotipo, è segno unico e irripetibile. Nella fase di produzione lo spazio è metaforicamente inserito nella rappresentazione segnica, influenza energetica di ciò che scaturisce dall’interno dell’Io. La grafite macchia il foglio con più forza in alcuni punti e con leggerezza ma caparbietà su altri, lontana da quella vergogna nata dai limiti sociali. Prevale il senso di libertà dell’artista che agisce con l’intenzione di trasportare lo spettatore in ascesa, all’interno di uno spazio che è più che idoneo a questo tipo di operazione. Nei quattro livelli della torre eptagonale di Moresco, infatti, si ascende dal tangibile all’immateriale, vivendo l’ambiente, raccolto in metratura ma sviluppato verso il cielo stellato. Il percorso spontaneo è la salita, con brevi soste ma senza fermata se non all’apice. Un grande disegno al primo piano, materico e pesante nel tratto, ricorda la forma del planisfero, del mondo empirico che è scienza ed entità fisica; salendo al secondo livello tutto poi si riduce, dalle dimensioni del foglio, al suo peso specifico, fino all’utilizzo minore della grafite e del carboncino. La materia si sta disgregando e trasformando per giungere alla terza altezza in cui tutto è ancora più ristretto e si modifica elevandosi, quasi eterea, fino ad arrivare all’ultimo stadio del viaggio in cui scompare e diviene protagonista la luce, colei che crea l’immagine: i disegni di Riccardo Angelini si mostrano alle pareti attraverso due videoproiettori muovendosi a trecentosessanta gradi, operazione realizzata grazie alla collaborazione con il videoartista Tibo Soyer. Una sorta di automatismo, quello di Riccardo Angelini, che lo porta a rendere la materia campo di proiezione visiva in cui riconoscere forme ed entità che compaiono sul foglio e vivono espandendosi e fluttuando anche fuori dalla superficie della carta che non limita l’immaginazione. Un carattere quasi iniziatico ed alchemico che prende avvio da uno dei più importanti movimenti letterari ed artistici d’avanguardia nato a Parigi – città in cui l’artista vive e lavora – dopo la prima guerra mondiale, il Surrealismo. Nel 1925 Max Ernst scopre la tecnica del frottage, un metodo che esclude qualsiasi scelta mentale cosciente sovrapponendo il foglio di carta a corde, foglie d’albero, tessuti e tanto altro e sfregandovi poi la matita e il carboncino in modo che la carta, per la pressione esercitata, acquisisca lo schema irregolare sottostante. Pur con risultati diversi, Riccardo Angelini adopera la tecnica dello strofinamento che lo avvicina alle intenzioni principali del Surrealismo, automatismo psichico – così come viene definito nel Manifesto del 1924 di André Breton – libero da qualunque controllo di tipo morale, etico e culturale. Nascono così dalla mano di Angelini disegni totalmente spontanei che nel loro manifestarsi si avvicinano anche al lavoro di uno dei più grandi fotografi del Novecento, Mario Giacomelli, nato e vissuto nelle Marche – terra di origine di Angelini – e ai suoi lavori ricchi di contrasti esasperati in cui bianchi e neri sono portati agli estremi. Senza alcuna volontà di resa del paesaggio, Angelini trasla sul foglio gli eccessi del buio e della luce in una costruzione automatica e materica di un’interiorità lasciata libera di rapportarsi con una visione del mondo che è personale ed universale allo stesso tempo, che dal momento in cui fuoriesce si unisce con lo spazio circostante e contemporaneamente ne viene influenzata prima dello svolgersi dell’azione segnica. La materia diviene così il mezzo, e non il fine, per svincolarsi dalla ragione e le macchie impresse permangono all’infinito. Milena Becci

TOMAV- Torre di Moresco Centro Arti Visive – Moresco (FM)
Pure GraphiteRiccardo Angelini
Inaugurazione: sabato 15 dicembre 2018 ore 18
dal 15 dicembre 2018 al  20 gennaio 2019
Testo critico: Milena Becci
Progetto e organizzazione: Andrea Giusti
Installazione video: Tibo Soye

Patrocinio: Comune di Moresco – Assessorato alla Cultura
Comunicazione: M. SimoniOrari: sab-dom ore 18 – 20
Info: tel. 0734 259983/327-2365681;

21
Nov

Alessandra Spranzi. Mani che imbrogliano

Mani che imbrogliano è la seconda mostra personale di Alessandra Spranzi alla galleria P420, dopo Maraviglia (2015) e la collettiva Lumpenfotografie (2012, con Hans-Peter Feldmann, Peter Piller, Joachim Schmid e Franco Vaccari). La nuova mostra presenta lavori recenti e altri che risalgono fino al 1995, in una specie di punteggiatura del pensiero, o della visione, che è sempre nel presente, ma che si sviluppa in un ampio arco temporale. Alessandra Spranzi lavora con l’immagine fotografica in modi e forme diverse: fotografando, rifotogrando, raccogliendo, tagliando, indicando, cancellando. Interviene quando le immagini e le cose si allontanano dal loro uso e diventano, per così dire, inconsapevoli di sé, delle proprie possibilità e della propria bellezza. Per Mani che imbrogliano l’artista ha preparato un grande spettacolo di magia fatto di poco, molto poco. Immagini da manuali, di oggetti trovati o raccolti per strada insieme ad altri che animano da sempre le quinte della nostra casa, gesti che mostrano, che provano a spiegare qualcosa. Come Harry Houdini, che proponeva, per 50 centesimi, di insegnare “Come leggere al buio biglietti piegati”. Carte piegate al buio con dentro, forse, un’immagine.

Alessandra Spranzi, è nata a Milano nel 1962 dove vive. Ha studiato alla Scuola Politecnica di Design e all’Accademia di Belle Arti di Brera.
E’ docente di Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Dal 1992 ha partecipato a diverse mostre, sia personali che collettive alla galleria P420, Bologna, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, al Centre National de la Photographie, Ile de France, alla galleria Arcade, Londra, al MAMbo, Bologna, alla Galleria Martano, al Maga, Gallarate, alla, galleria Nicoletta Rusconi, Milano, al Festival di Fotografia Europea, Reggio Emilia, al Museo di fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo, alla Galleria Fotografia Italiana, Milano, al Man, Nuoro, alla Gamec, Bergamo, al Museo Marino Marini, Firenze, alla Galleria Emi Fontana, Milano, al Museo Pecci, Prato, a Le Magasin, Grenoble, al Careof, Cusano Milanino. Dal 1997 ha realizzato numerose pubblicazioni e libri d’artista.
L’ultimo libro, Uova, posate e altri oggetti, è stato pubblicato in occasione di Mani che imbrogliano.

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19
Nov

Rafael Lozano-Hemmer. Pulse

In the Hirshhorn’s largest interactive technology exhibition to date, three major installations from Rafael Lozano-Hemmer’s Pulse series come together for the artist’s DC debut. A Mexican Canadian artist known for straddling the line between art, technology, and design, Lozano-Hemmer fills the Museum’s entire Second Level with immersive environments that use heart-rate sensors to create kinetic and audiovisual experiences from visitors’ own biometric data. Over the course of six months, Pulse will animate the vital signs of hundreds of thousands of participants.

With Lozano-Hemmer’s trademark sensitivities to audience engagement and architectural scale, each installation captures biometric signatures and visualizes them as repetitive sequences of flashing lights, panning soundscapes, rippling waves, and animated fingerprints. These intimate “portraits,” or “snapshots,” of electrical activity are then added to a live archive of prior recordings to create an environment of syncopated rhythms. At a time when biometry is increasingly used for identification and control, this data constitutes a new way of representing both anonymity and community.
The exhibition begins with Pulse Index (2010), which is presented at its largest scale to date. The work records participants’ fingerprints at the same time as it detects their heart rates, displaying data from the last 10,000 users on a scaled grid of massive projections. The second work, Pulse Tank (2008), which premiered at Prospect.1, New Orleans Biennial, has been updated and expanded for this new exhibition. Sensors turn your pulse into ripples on illuminated water tanks, creating ever-changing patterns that are reflected on the gallery walls.
Pulse Room (2006) rounds out the exhibition, featuring hundreds of clear, incandescent light bulbs hanging from the ceiling in even rows, pulsing with the heartbeats of past visitors. You can add your heartbeat to the installation by touching a sensor, which transmits your pulse to the first bulb. Additional heartbeats continue to register on the first bulb, advancing earlier recordings ahead one bulb at a time. The sound of the collected heartbeats join the light display to amplify the physical impact of the installation.
Three short documentaries of Pulse works are also on view, showing the breadth of the series through video footage of various other biometric public-art interventions in Abu Dhabi, Toronto, Hobart, New York, and Urdaibai, Spain (2007–2015).
Curated by Stéphane Aquin, Chief Curator with curatorial assistance from Betsy Johnson, Assistant Curator.
In conjunction with the Hirshhorn exhibition, the Mexican Cultural Institute of the Embassy of Mexico in Washington, D.C. presents the Washington debut of Lozano-Hemmer’s 2011 work, “Voice Array,” on loan from the Hirshhorn’s collection, a gift of the Heather and Tony Podesta Collection in 2014. On view from Oct. 31 through Jan. 31, 2019, the interactive work records participants’ voices and converts them into flashing lights that come together to visually and aurally depict the cumulative contributions of the last 288 visitors. This is the newest project from Hirshhorn in the City, the Museum’s initiative to bring international contemporary art beyond the museum walls and into Washington’s public spaces to connect artists and curators with the city’s creative communities.Continue Reading..

07
Nov

Hito Steyerl. The City of Broken Windows

Hito Steyerl (Monaco, 1966) è una tra gli artisti e teorici più attivi del nostro tempo e le sue riflessioni sulla possibilità di pensiero critico nell’era digitale hanno influenzato il lavoro di numerosi artisti. Ha rappresentato la Germania alla 56. Biennale di Venezia nel 2015. La sua opera si concentra sul ruolo dei media, della tecnologia e della circolazione delle immagini nell’era della globalizzazione. Sconfinando dal cinema all’arte visiva e viceversa, l’artista realizza installazioni in cui la produzione filmica viene associata alla costruzione di ambienti immersivi ed estranianti. In occasione della mostra nella Manica Lunga del Castello di Rivoli, Steyerl crea una nuova installazione multimediale basata sul suono, sul video e sull’intervento architettonico. Steyerl presenta in anteprima The City of Broken Windows (La città delle finestre rotte, 2018), nata dalla sua ricerca attorno alle industrie di AI (artificial intelligence), sulle tecnologie di sorveglianza e attorno al ruolo che i musei d’arte contemporanea svolgono nella società oggi. L’artista indaga il modo in cui l’intelligenza artificiale influenza il nostro ambiente urbano e come possano emergere atti pittorici alternativi in spazi pubblici. Schermi, finestre, cristalli liquidi e non liquidi si legano tutti insieme in questa nuova installazione, la prima realizzata dall’artista dopo Hell Yeah We Fuck Die (Eh già cazzo moriamo, 2016), nella quale Steyerl esaminava la performatività e la precarietà dei robot. Creata per la Biennale di San Paolo, l’installazione Hell Yeah We Fuck Die è stata recentemente esposta a Skulptur Projekte a Münster (2017), è attualmente in mostra al Kunstmuseum di Basilea ed è stata acquisita per le Collezioni del Castello di Rivoli.

The City of Broken Windows ruota attorno a registrazioni alterate di suoni; come in una sinfonia atonale e disturbante, esse documentano il processo d’apprendimento dell’intelligenza artificiale alla quale viene insegnato come riconoscere il rumore di finestre che si rompono, una pratica comune all’industria e alla tecnologia della sicurezza nella nostra società. Il progetto di Steyerl offre un contributo cruciale e una prospettiva intrigante su come l’immaginario contemporaneo digitale plasmi le emozioni e l’esperienza del reale. Fra l’altro, Chris Toepfer, protagonista della nuova opera, occluderà il Castello di Rivoli con un dipinto trompe l’oeil. Le riflessioni di Steyerl sono contenute nei suoi numerosi scritti. Tra i suoi testi più importanti, ha pubblicato In Defense of the Poor Image (In difesa dell’immagine povera) nella rivista online e-flux nel 2009. Recentemente, i suoi scritti sono stati raccolti in volumi come The Wretched of the Screen (I dannati dello schermo), e-flux e Sternberg Press, 2012 e Duty Free Art. Art In the Age of Planetary Civil War, Verso Press, Londra e New York, 2017, pubblicato in Italia con il titolo Duty Free Art. L’arte nell’epoca della guerra civile planetaria, Johan & Levi, 2018.

La mostra sarà accompagnata da una nuova pubblicazione a cura del Castello di Rivoli per i tipi di Skira e da un simposio sull’intelligenza artificiale che si terrà il 12 dicembre 2018 al quale parteciperà tra gli altri Esther Leslie, Professore di Estetica Politica presso Birkbeck, University of London.

La mostra è realizzata con l’ulteriore sostegno di Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts, Andrew Kreps Gallery, Collezione E. Righi, Marco Rossi, Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT.

Hito Steyerl. The City of Broken Windows / La città delle finestre rotte
A cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio
1 novembre 2018 – 30 giugno 2019
Inaugurazione: 31 ottobre 2018, ore 19

Castello di Rivoli. MUSEO D ’ A R T E CONTEMPORANEA
Piazza Mafalda di Savoia – 10098 Rivoli (Torino) – Italia
tel. +39/011.9565222 – 9565280 fax +39/011.9565231
e-mail: info@castellodirivoli.org

Ufficio Stampa Castello di Rivoli
Manuela Vasco | press@castellodirivoli.org | tel. 011.9565209
Brunella Manzardo | b.manzardo@castellodirivoli.org | tel. 011.9565211

Consulenza Stampa
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Valentina Gobbo Carrer | carrervale@gmail.com | tel. 338.8662116

06
Nov

Mario Merz. Igloos

“Igloos”, la mostra dedicata a Mario Merz (Milano, 1925-2003), tra gli artisti più rilevanti del secondo dopoguerra, riunisce il corpusdelle sue opere più iconiche, gli igloo, datati tra il 1968 e l’anno della sua scomparsa.
Il progetto espositivo, curato da Vicente Todolí e realizzato in collaborazione con la Fondazione Merz, si espande nelle Navate di Pirelli HangarBicocca e pone il visitatore al centro di una costellazione di oltre trenta opere di grandi dimensioni a forma di igloo, un paesaggio inedito dal forte impatto visivo. Mario Merz, figura chiave dell’Arte Povera, indaga e rappresenta i processi di trasformazione della natura e della vita umana: in particolare gli igloo, visivamente riconducibili alle primordiali abitazioni, diventano per l’artista l’archetipo dei luoghi abitati e del mondo e la metafora delle diverse relazioni tra interno ed esterno, tra spazio fisico e spazio concettuale, tra individualità e collettività. Queste opere sono caratterizzate da una struttura metallica rivestita da una grande varietà di materiali di uso comune, come argilla, vetro, pietre, juta e acciaio – spesso appoggiati o incastrati tra loro in modo instabile – e dall’uso di elementi e scritte al neon. La mostra offre l’occasione per osservare lavori di importanza storica e dalla portata innovativa, provenienti da collezioni private e museali internazionali, raccolti ed esposti insieme per la prima volta in numero così ampio.

Mario Merz. Igloos
a cura di Vincenzo Todolì
25 ottobre 2018 – 24 febbraio 2019
in collaborazione con Fondazione Merz

Pirelli HangarBicocca
Milano
20126 Milano
T (+39) 02 66 11 15 73
info@hangarbicocca.org

06
Nov

Alberto Giacometti. A retrospective

This exhibition surveys four decades of production by Alberto Giacometti (b. 1901; d. 1966), one of the most influential artists of the 20th century. More than 200 sculptures, paintings, and drawings make up a show that offers a unique perspective on the artist’s work, highlighting the extraordinary holdings of artworks and archive material gathered by Giacometti’s wife, Annette, now in the Fondation Giacometti in Paris.  Giacometti was born in Switzerland to a family of artists. He was introduced to painting and sculpture by his father, the renowned Neo-Impressionist painter Giovanni Giacometti. Three heads done of him by the young Giacometti are seen on display here. In 1922 Alberto Giacometti moved to Paris to continue his artistic training, and four years later he set up what was to remain his studio until the end of his life, a rented space of just 23 square meters on the Rue Hippolyte-Maindron, close to Montparnasse. In that tiny narrow room, Giacometti created a very personal vision of the world about him. The human figure is a fundamental theme in this artist’s oeuvre. Over the years, he produced works inspired by the people around him, especially his brother Diego, his wife Annette, and his friends and lovers. The artist said: “For me, sculpture, painting, and drawing have always been means of understanding my own vision of the outside world, and above all the face and the whole of the human being. Or to put it more simply, of my fellow creatures, and especially of those who for one reason or another are closest to me.” Giacometti’s ideas on how to approach the human figure were to become crucial questions of contemporary art for the following generations of artists.

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