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Lug

Nunzio. Diluvio

Nunzio – Diluvio
A cura di Luciano Massari
Testo critico di Matteo Innocenti
Dal 4 luglio al 13 settembre 2015
Carrara, Chiesa delle Lacrime
Via Carriona
Orari da giovedì a domenica 19-23.30

Inaugura sabato 4 luglio alle ore 18.30, all’interno della Chiesa delle Lacrime di Carrara, l’installazione “Diluvio” dell’artista Nunzio, a cura di Luciano Massari con testo critico di Matteo Innocenti, prodotta e organizzata dal Comune di Carrara, con il patrocinio della Regione Toscana, nell’ambito di Carrara Marble Weeks 2015.
Per questa occasione il suggestivo edificio, una chiesa sconsacrata di epoca barocca, ospiterà una riflessione sulla percezione dello spazio, secondo un modus operandi dell’artista ,che nella sua ricerca ha sempre posto in primo piano il tema della spazialità , svincolata dall’aspetto funzionale e perciò territorio di sperimentazioni e soluzioni inaspettate.
“Diluvio”, da cui il titolo dell’installazione, è una grande scultura in legni combusti e pigmenti ( 377x275x120 cm) dalla forma semi-circolare che dialogherà con l’architettura della Chiesa delle Lacrime, costituendo una seconda abside e mettendo in relazione e in opposizione, al tempo stesso, linee curve e materiali in un gioco di trasparenza, attraversamento e cambiamenti percettivi.
Nunzio, artista raffinato e coltissimo che ha avuto importanti frequentazioni letterarie e artistiche nel periodo d’oro delle gallerie romane, da sempre lavora sul tema dello spazio, in particolare sulla soglia, un elemento architettonico che è anche una «figura» ricorrente nella cultura del ’900, realizzando sculture e disegni incentrati sulle possibilità di superamento dei confini, attraverso la fedeltà ad un linguaggio aniconico che è innanzitutto di ordine “etico”. Ha dichiarato l’artista, in una recente intervista al Giornale dell’Arte: “Quando non c’è l’icona, è come se l’idea fosse «ingiustificata» e a me piace lavorare sull’ingiustificato, su qualcosa di arbitrario. È un punto interrogativo che fa i conti con il mondo [ … ] Di sicuro posso dire che non amo la piacevolezza e che cerco di spostare il mio lavoro su un altro livello, che io trovo più scomodo, più misterioso, più profondo.”Nunzio Di Stefano nasce nel 1954 a Cagnano Amiterno, in provincia dell’Aquila. Studia all’Accademia di Belle Arti di Roma, diplomandosi nel corso di Toti Scialoja.
Dal 1973 il suo studio è presso l’ex Pastificio Cerere, nel quartiere romano di San Lorenzo, dove lavoreranno anche Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Piero Pizzi Cannella e Marco Tirelli. Dopo una prima mostra nel 1981 presso la Galleria Spatia di Bolzano, nel 1984 espone sculture in gesso di grandi dimensioni alla Galleria l’Attico di Roma in una importante personale presentata da Giuliano Briganti. Nello stesso anno Achille Bonito Oliva organizza la collettiva Ateliers incentrata sugli artisti che lavorano negli studi di San Lorenzo. Nel 1985 la sua prima esposizione americana, nella galleria Annina Nosei a New York, gli apre le porte del collezionismo e del mercato e contribuisce alla diffusione internazionale del suo linguaggio espressivo. Nel 1986 L’Attico è il luogo in cui l’artista presenta i suoi primi lavori in legno e piombo. Alcune di queste opere saranno presentate poi alla LXII Biennale di Venezia, dove Nunzio vince il Premio 2000 come miglior giovane artista.
Gessi e legni combusti sono riuniti nel 1987 nella personale della Galleria Civica di Modena. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, gli appuntamenti espositivi, tra personali e collettive, si susseguono in Italia e all’estero. Tra questi: nel 1985, Nouvelle Biennale de Paris, L’Italie aujourd’hui, al Centre National d’Art Contemporain di Nizza, Nuove trame dell’arte, al Castello Colonna di Genazzano, Anniottanta alla Galleria Comunale di Bologna; nel 1986, Aspekte der Italienischen Kunst, mostra itinerante che tocca varie città tedesche, l’XI Quadriennale di Roma, alla quale parteciperà anche nel 1996, e la VI Biennale di Sydney; nel 1989, Los Nuevos Romanos, a Santiago de Compostela e a Madrid, e Prospekt ‘89, a Francoforte; Roma interna, presso il Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig di Vienna, nel 1991, e la III Biennale di Istanbul l’anno seguente.
Nel 1995 Nunzio viene invitato alla Biennale di Venezia con una sala personale; gli viene assegnata una Menzione d’Onore.
La prima personale in Giappone è del 1994, alla Kodama Gallery di Osaka, cui segue la partecipazione alla Biennale di Fujisankei nel 1995, dove la sua scultura Ombre, collocata negli spazi del Hakone Open-Air Museum, vince il Prize for Excellence.
Dello stesso anno è la personale allestita presso la sede di Villa delle Rose della Galleria d’Arte Moderna di Bologna che ripercorre il lavoro dell’ultimo decennio.
Nel 1997 presenta, per la prima volta, lavori in bronzo presso la Galerie Alice Pauli di Losanna, dove torna a esporre nel 2001 e nel 2010. Il 2000 si apre con una personale alla Galleria Fumagalli di Bergamo, occasione per la pubblicazione di una monografia.
Dal 2004 collabora con la galleria torinese Giorgio Persano dove realizza una serie di esposizioni personali. Nel 2005 tiene la sua prima personale alla Galleria dello Scudo di Verona, curata da Lea Vergine, dove presenta una serie di installazioni in legno combusto che creano nuovi e stranianti spazi abitabili.
Dello stesso anno e di quello successivo sono le mostre antologiche allestite al MACRO di Roma, a cura di Danilo Eccher, e al Museo d’Arte Contemporanea di Belgrado, a cura di Bruno Corà; del 2012 la personale al Museum Biedermann di Donaueschingen in Germania, presentata da Norbert Nobis e del 2013 la più recente allestita presso la Galleria Franca Mancini di Pesaro. Le sue opere sono presenti in collezioni permanenti in Italia e all’estero. Attualmente Nunzio vive e lavora tra Roma e Torino.

Con il patrocinio della Regione Toscana

Si ringrazia la Signora Luisa Laureati Briganti.

testo critico di Matteo Innocenti

Tra i modi possibili di guardare alla ricerca di un artista vi è l’attenzione posta sul rapporto di conoscenza e di pratica “con” le materie, entro una tendenza progressiva all’accordo tra valori espressivi e qualità fisiche col fine di un avvicinamento alla verità – certo una verità relativa, altro non potrebbe darsi, ma comunque condivisibile.
La storia dell’arte ce ne tramanda esempi vivissimi, talvolta persino con note di tragedia. Tra le tante vicende e biografie a disposizione mi concedo un unico esempio che sia rappresentativo, per eccesso, di molti altri: un gigante il cui nome è Michelangelo, e tale concessione mi è permessa, ai fini del discorso, per la vicinanza rispetto a dove ci troviamo; poiché le cave di Carrara furono per lui, in molti significati, fondamentali. Conosciamo bene quanto il Buonarrotti riflettesse sulla scultura in correlazione al marmo come “quella che si fa per per forza di levare”, e in che modo tale pensiero divenisse in età avanzata delusione atroce per lo spirituale perfetto che l’arte, attraverso la materia, non riesce a raggiungere, come ben inquadrò Georg Simmel nel suo celebre saggio dedicato all’artista fiorentino “Nessuno come Michelangelo aveva fatto tanto per chiudere la vita nella forma terrestremente visibile dell’arte, perché essa trovasse in sé la propria soluzione […] ma gli divenne terribilmente chiaro che i limiti non avevano fine.” Si trattò allora, e assai si è ripetuto in altri casi, di una lotta ingaggiata con le possibilità e i condizionamenti dei materiali, rispetto al nostro inappagabile desiderio di assoluto – che ugualmente accade in pittura, architettura, poesia ecc.
Una breve digressione che conduce istantaneamente al nostro centro: Nunzio è tra i pochi artisti del presente in grado di equilibrare le tensioni conflittuali con naturalezza, all’interno di ogni fase – i gessi, i piombi, le ruggini, i legni – e si potrebbe dire nelle singole opere dato che ciascuna è caratterizzata da elementi di variazione, benché minimi, che la rendono una storia diversa. Per meglio dire, conviene osservare due livelli distinti: se la dinamica di continuo superamento viene espressa dall’intero percorso artistico che muta d’apparenza nel ricorso a materie diverse in periodi diversi, la singolarità delle fasi e delle opere fanno emergere una spontaneità e una distensione riferibili a una visione attuale, e possibile, del classico.
Quale specifico intervento opera Nunzio sui materiali, per arrivare a una placida, seppur misteriosa, compostezza? Già nell’esordio con la serie dei gessi, all’inizio degli anni ottanta, si poteva rintracciare la modalità che poi sarebbe divenuta costante. Le superfici scabre derivate dall’immediatezza compositiva – per i tempi di modellazione e di asciugatura del gesso stesso – venivano trasfigurate fino a raggiungere una resa “atmosferica” tramite la pittura ad acquerello – luce in relazione all’ambiente. Ne risultavano sculture letteralmente di superficie, sostenute dalle pareti e concorrenti a impressioni mutevoli; ciò che l’artista stesso ha definito una bidimensionalità apparente, come se qualcosa venisse sottratto alla realtà delle cose. Mutate le forme e la tecnica è ciò che vale anche per la combustione dei legni, fase varia ed estesa negli anni. La quercia o il rovere, che sono di per sé legni resistenti, prima vengono tagliati a lastre e poi combusti nel primo strato fino ad ottenere la scomparsa della tessitura, in modo da rendere ancora la superficie, liberata da ogni “superfluo”, una conduttrice di luce. Pur nel rispetto delle differenze possiamo per analogia sostanziale estendere tale attitudine anche al piombo, alle ruggini e ai disegni: abbiamo sempre una dinamica che procede in contemporanea per sottrazione e per addizione, nella trasfigurazione sensibile degli elementi di partenza.
Così i riferimenti alle qualità insite nella materia e al loro trattamento esteriore; ma il grande legno combusto, installato nel 1993 in occasione del Festival dei Due Mondi in Santa Maria della Manna d’Oro a Spoleto e adesso in Madonna delle Lacrime a Carrara, per il suo carattere emblematico ci permette di estendere la riflessione fino a comprendere l’altro movimento essenziale in Nunzio, quello della materia verso la percezione e lo spazio. In Diluvio il nero che di normalità assorbe luminescenze e colori, assume anche una potenza riflettente, acuita dall’aggiunta di pigmento blu profondo, mentre descrivendo un andamento concavo/convesso (in base al nostro punto d’osservazione) le varie lastre si protendono in verso di verticalità. Un ricorso poetico caro all’artista, le connotazioni gnoseologiche che Dante Alighieri associa ai contrari, prossimi, del “velare” e del “disvelare”, ci guida verso una contraddizione feconda, da cui possiamo desumere almeno due declinazioni.
La prima è lo spazio della sensibilità. L’installazione tramite l’effetto visivo che suscita a distanze differenti assume il valore di soglia – da lontano domina la massa compatta, monolitica dei neri, mentre avvicinandoci scorgiamo le distanze tra parte e parte, esaltate dall’evanescenza dell’indaco. Il significato profondo della soglia sta nell’induzione di passaggi attraverso di sé: essa è zona di apertura e di chiusura insieme, ciò che viene preceduto da un percorso ed ugualmente da un percorso viene seguito. Quindi l’opera ha la forza di attrarci fino al suo limite, e da lì rimanda – appunto per via di sensibilità – a una dimensione ulteriore. Vedere e allo stesso momento non vedere del tutto: sebbene le scelte formali di Nunzio derivino da riflessioni concrete e poco, se non nulla, egli conceda allo spirituale – per la sua intima coerenza rispettata dall’inizio alla fine – ciò non esclude che il trattamento e la composizione sapiente della materia rendano l’opera simile a uno stato potenziale. Anzi è proprio in tale modo che si evita il rischio della pura aderenza formale, di una scultura che dice soltanto quello che dice: il legno che significa solo bruciatura, il piombo impressione, la ruggine ossidazione. Un aspetto poco approfondito di Nunzio, ma rivelatorio della capacità di sfuggire al realistico per via di evocazione, è l’uso dei nomi. I titoli delle sue opere non sono descrittivi di quanto si vede ma di quanto si sente, e da lì traggono la loro formidabile precisione: così, per esempio, il diluvio è la discesa dall’alto di acque fresche sulla terra riarsa, ovvero una possibilità di rinnovamento e di elevazione.
Arriviamo alla seconda declinazione, lo spazio fisico. Per una coincidenza non casuale in buona parte della documentazione fotografica delle sculture di Nunzio ritorna un pavimento a quadrati bianchi e neri; una sorta di scansione, che puntualizza l’importanza dei rapporti e delle misure degli ambienti circostanti. Fattore che certamente assume importanza equiparabile in luoghi connotati come può esserlo una ex chiesa. In Santa Maria della Manna d’Oro a Spoleto, rispettando la collocazione centrale del fonte battesimale, furono installate quattro grandi sculture seguendo la successione di nicchie lungo i lati della pianta ottogonale. Anche nella Madonna delle lacrime ritornano gli elementi caratteristici: il Diluvio, semicircolare, posto davanti all’abside mette in relazione concavità e convessità, il suo sviluppo in verticale – si noti a partire da un suolo a decorazione geometrica – descrive un puro moto ascensionale in accordo all’architettura sacra. Con la stessa precisione della loro struttura interna, le sculture contribuiscono in modo fondamentale anche alla costruzione di un discorso diretto all’esterno: l’opera in loco crea un nuovo spazio, esistente, percepibile e interpretabile fino al termine della sua permanenza.

Matteo Innocenti

Monica Zanfini
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Immagine: Nunzio – Diluvio ph. C. Abate