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26
Mar

La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina

Alberto Burri, chiamato a realizzare un intervento per la ricostruzione del paese distrutto dal terremoto nella Valle del Belice del 1968, decide di intervenire sulle macerie della città di Gibellina, creando l’opera di Land Art più grande al mondo. Le ricopre di un sudario bianco, di un’enorme gettata di cemento che ingloba i resti e riveste, in parte ricalcandola, la planimetria della vecchia Gibellina. Culmine del percorso interpretativo sono le fotografie in bianco e nero di Aurelio Amendola sul Grande Cretto. Fotografo che per eccellenza ha raccolto le immagini di Burri, dei suoi lavori e dei processi creativi, Amendola ha realizzato gli scatti in due riprese, nel 2011 e nel 2018, a completamento avvenuto dell’opera (2015).

Nel percorso inoltre, il video di Petra Noordkamp – prodotto e presentato nel 2015 dal Guggenheim Museum di New York, in occasione della grande retrospettiva The Trauma of Painting –  filma in un racconto poetico e di grande sapienza tecnica l’opera di Burri e il paesaggio circostante.

Alcune opere uniche dell’artista, veri e propri capolavori, inoltre, estendono non solo ai Cretti ma anche ai Sacchi, ai Legni, ai Catrami, alle Plastiche e a una selezione di opere grafiche la lettura proposta dal celebre psicanalista.
È una ferita che è dappertutto, che trema ovunque. Una scossa, un tormento, un precipitare di fessurazioni infinite ed ingovernabili.

Come scrive Recalcati in Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina, nei Legni la ferita è generata dal fuoco e dalla carbonizzazione del materiale ma, soprattutto, dal resto che sopravvive alla bruciatura. Nelle Combustioni, lo sgretolamento della materia, la manifestazione della sua umanissima friabilità, della sua più radicale vulnerabilità, viene restituita con grande equilibrio poetico e formale. È ciò che avviene anche con le Plastiche dove, ancora una volta, è sempre l’uso del fuoco a infliggere su di una materia debole ed inconsistente come la plastica, l’ustione della vita e della morte.

In occasione della mostra, realizzato dalla casa editrice Magonza un importante volume stampato su carta di pregio e di grande formato con testimonianze e ricerche inedite su Alberto Burri, la sua opera e Il Grande Cretto di Gibellina. Un nuovo testo di Massimo Recalcati raccoglie gli sviluppi ulteriori della sua ricerca, insieme a interventi di storici dell’arte quali Gianfranco Maraniello e Aldo Iori.

Organizzata una conferenza ad hoc tenuta da Massimo Recalcati, un’occasione di una riflessione ampia sull’opera di Alberto Burri e sulla mostra.

La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina
Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese
dal 23 marzo al 9 giugno 2019

nei seguenti orari: dal 23 marzo al 31 maggio 2019
da martedì a venerdì e festivi (lunedì di Pasqua) ore 10.00 – 16.00 (ingresso consentito fino alle 15.30)
sabato e domenica ore 10.00 – 19.00 (ingresso consentito fino alle 18.30).
Giorni di chiusura: lunedì e 1 maggio

dal 1 al 9 giugno 2019
da martedì a venerdì e festivi ore 13.00 – 19.00 (ingresso consentito fino alle 18.30)
sabato e domenica ore 10.00 – 19.00 (ingresso consentito fino alle 18.30)
Giorni di chiusura: lunedì

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Progetto espositivo itinerante. Dopo la tappa romana l’esposizione riallestita da giugno 2019 ad ottobre 2019 al MAG Museo Alto Garda a Riva del Garda in collaborazione con il MART Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto.

Ingresso gratuito

Tel 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
con un prestito della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma
A cura di Massimo Recalcati con il coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi
Servizi museali Zètema Progetto Cultura
Prodotta da Magonza editore (www.magonzaeditore.it)
Con il patrocinio di Regione Lazio, Regione Sicilia, Comune di Gibellina, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Fondazione Orestiadi con un  prestito della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma
Con il sostegno di Broker ufficiale; PL Ferrari; A Member of the Lockton Group of Companies
01
Ott

Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile

Dal 4 ottobre 2018 al 6 gennaio 2019 la GAMeC presenta Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile, prima mostra di un ambizioso ciclo espositivo triennale dedicato al tema della materia, ideato da Lorenzo Giusti e sviluppato insieme a Sara Fumagalli, con la consulenza scientifica del fisico Diederik Sybolt Wiersma e la partecipazione di BergamoScienza.
Attivando un dialogo con la storia delle scoperte scientifiche e tecnologiche e un confronto con lo sviluppo delle teorie estetiche, Black Hole rivolge lo sguardo al lavoro di quegli artisti che hanno indagato l’elemento materiale nella sua più intrinseca valenza, laddove il concetto stesso di “materiale” si infrange per aprirsi a un’idea più profonda di “materia” come elemento originario, come sostanza primordiale costituente il tutto.
In particolare, l’esposizione intende raccontare questa dimensione attraverso tre diverse restituzioni: quella di chi ha guardato all’elemento materiale, concreto, come a un’entità originaria, precedente o alternativa alla forma; quella di chi ha interpretato la natura umana come parte di un più ampio discorso materiale e quella di chi, nel processo di penetrazione della materia, si è spinto nel profondo, ai confini della materialità stessa, cogliendone la dimensione infinitesimale ed energetica.

Attraverso una ricca selezione di opere realizzate tra la fine dell’Ottocento e i giorni nostri, il percorso espositivo illustra, all’interno di un’unica visione integrata, questa preziosa dialettica, oscillante tra la materialità dell’Informe e la materialità dell’Invisibile, poli soltanto apparentemente antitetici e in realtà coesistenti e complementari.

Sezione 1 – Informe
Le acquisizioni della scienza – dal principio di indeterminazione di Heisenberg alla metodologia quantistica – e la loro circolazione culturale, che le ha rese a noi familiari, hanno profondamente influenzato la visione degli artisti, al punto da condizionarne non soltanto la percezione delle cose e del mondo, ma anche la più profonda sostanza del loro operare.
In dialogo con lo sviluppo di queste scoperte, le opere presenti all’interno della prima sezione rifuggono dunque dal rappresentare il mondo e utilizzano materiali, sia tradizionali sia inusuali, non come elementi da plasmare con l’intento di creare nuove forme, ma in virtù della loro valenza intrinseca, del loro presentarsi come “elementi in sé”.
Configurazioni materiche che, per la loro indeterminatezza, restituiscono un’idea della realtà come sostanza in continuo mutamento.
Si collocano all’origine di questo percorso le ricerche di Jean Fautrier, con le sue concrezioni di colore stratificato, e di Lucio Fontana, con le sue Nature di materia incisa, la quale, penetrata e lacerata, animandosi si fa opera.
Una linea di ricerca che prosegue – tra gli altri – con le superfici grumose intessute di fenditure e lacerazioni di Antoni Tàpies, la densità bituminosa delle Combustioni e dei Cretti di Alberto Burri, presente anche nei primi lavori di Piero Manzoni, e, decenni più tardi, i Big Clay “senza forma” di Urs Fischer, le statue “colanti” di Cameron Jamie, le eteree astrazioni screpolate di Ryan Sullivan.

Sezione 2 – Uomo-Materia
La materia che permea l’universo e che tutto crea e compone definisce anche la natura umana. Questo lasciano intendere i lavori degli artisti presenti nella seconda sezione della mostra, dove, all’interno di un percorso articolato e trasversale, sono messe a confronto le opere di autori di generazioni diverse contraddistinte da una forte componente materica e allo stesso tempo da una presenza, più o meno manifesta, dell’elemento antropomorfo. Lavori in cui il corpo umano è dunque in primis un “corpo materico” e in cui la figura, accennata o scomposta, si fa veicolo di una visione integrata del mondo, tenuta assieme dal principio stesso della materia.
Le sintesi plastiche di Auguste Rodin e Medardo Rosso, con le loro immagini di volti e corpi affioranti da blocchi indistinti, costituiscono un significativo precedente storico per la ricerca di una serie di artisti che, in forme diverse, hanno fatto convergere dentro un’unica visione creativa il discorso sulla materia e l’indagine sull’uomo. Ne è un esempio Alberto Giacometti, con le sue figure “intrappolate”, “sempre a mezza via fra l’essere e il non essere”, per citare Jean-Paul Sartre, così come lo scultore svizzero Hans Josephsohn, con le sue caratteristiche teste monolitiche, imprigionate dentro blocchi di materia compatta.

Volto e materia, prettamente pittorica, ritornano nei primi dipinti informali di Enrico Baj, nelle Dame di Jean Dubuffet degli inizi degli anni Cinquanta così come nei lavori di Karel Appel e Asger Jorn, storici membri del gruppo Cobra, caratterizzati dall’utilizzo di colori brillanti, violente pennellate e figure umane distorte.
A questi maestri della modernità sono affiancati lavori di artisti contemporanei, da William Tucker, con i suoi agglomerati di materia a metà tra la roccia e il corpo umano, a Florence Peake, con le sue sculture informali, esito di performance collettive in cui corpo e materia sembrano cercare una sintesi dinamica.

Sezione 3 – Invisibile
Diversamente da quelle della prima e della seconda sezione, testimoni di una relazione fisica con la materia – incisa, spatolata, graffiata, bruciata, colata, e pur sempre materia “in sé” – le opere presenti nella terza sezione guardano agli aspetti più nascosti della materia, invisibili ai nostri occhi, in dialogo con la dimensione atomistica e subatomica.
Punto di partenza di un discorso in evoluzione che trova ampio sviluppo nei linguaggi della contemporaneità sono le celebri Tessiturologie di Jean Dubuffet, visioni ravvicinate, microscopiche, di un generico “elemento materiale”, di cui si restituisce
visivamente l’idea dell’incessante brulichio interno. Una ricerca che trova eco nelle esplosioni di “materia-luce” di Tancredi Parmeggiani, o ancora nelle composizioni degli artisti del Movimento Arte Nucleare – fondato nel 1951 da Enrico Baj e Sergio Dangelo, con l’aggiunta, un anno dopo, di Joe Colombo – che rielaborano in forma visiva le suggestioni provocate dall’esplosione della bomba atomica alla fine del secondo conflitto mondiale.
Dal dopoguerra alla contemporaneità, gli artisti creano nuove immagini di ciò che le teorie scientifiche suggeriscono, ma che parole e illustrazioni non riescono descrivere. La nozione classica di “materia”, valida dal familiare livello degli oggetti visibili fino al livello molecolare e atomico, sfuma ai livelli subatomici, abbracciando il concetto di energia.
Così, lavorando a stretto contatto con i Laboratori Nazionali del Gran Sasso – tra i più importanti istituti di ricerca a livello mondiale per lo studio dei neutrini – Jol Thomson crea un dialogo fra scienza e arte, indagando i territori dell’ignoto materiale, dell’intangibile e del non-ottico. Su questa linea di ricerca si muovono anche le performance di Hicham Berrada, che invita lo spettatore a fare esperienza diretta delle energie e delle forze che emergono dalla materia, e i Photograms di Thomas Ruff, le cui composizioni astratte nascono dalla consapevolezza dell’esistenza di un universo microscopico, oltre la dimensione tangibile delle cose.
Nella loro diversità di approcci, i lavori presentati in questa sezione testimoniano la medesima urgenza di interrogarsi sulle implicazioni filosofiche, percettive e conoscitive delle rivoluzionarie scoperte scientifiche della nostra epoca.

MERU ART*SCIENCE RESEARCH PROGRAM
La mostra si avvarrà del contributo della Fondazione Meru – Medolago Ruggeri per la ricerca biomedica, che nell’ambito della “Trilogia della materia”, e quale parte del programma del festival BergamoScienza, ha dato vita a un nuovo progetto di ricerca – Meru Art*Science Research Program – finalizzato alla realizzazione di interventi “site specific” dedicati al rapporto arte-scienza.
Coordinato da Anna Daneri, insieme ad Alessandro Bettonagli e Lorenzo Giusti, il programma vede, per questa prima edizione, la partecipazione degli artisti Evelina Domnitch & Dmitry Gelfand, che per lo Spazio Zero della GAMeC hanno progettato un’installazione ambientale capace di declinare sul piano visivo l’interazione di due buchi neri attraverso un cunicolo spazio-temporale (wormhole), laddove cioè la materia dell’universo collassa su se stessa per rigenerarsi.Continue Reading..

02
Lug

ALBERTO BURRI. Le dimensioni della materia

mostra a cura di Laura Caruso e Saverio Verini

Podesteria di Michelangelo, piazza San Michele 1, Chiusi della Verna (AR)

Inaugurazione sabato 9 luglio 2016, ore 17.30

fino a domenica 11 settembre 2016

Alberto Burri. Le dimensioni della materia intende proporre un accostamento suggestivo: l’opera più piccola e l’opera più grande dell’artista di Città di Castello si confrontano negli spazi della Podesteria di Michelangelo, a Chiusi della Verna. Si tratta in particolare di una Muffa del 1951 – delle dimensioni di appena 2,5 x 8 cm – e del celebre Grande Cretto di Gibellina, opera monumentale – oltre 10 ettari di estensione – di cui è esposta una significativa documentazione fotografica.

Il progetto espositivo ha l’obiettivo di avvicinare il pubblico alla poetica di Alberto Burri (1915-1995) e alla forza espressiva dei suoi lavori. La ricerca e le sperimentazioni sui materiali più disparati, la creazione di un universo formale astratto e “concreto” al tempo stesso, il rigore e l’equilibrio compositivo: sono gli aspetti che la mostra cerca di mettere in luce, dimostrando una coerenza artistica che prescinde dal formato delle opere.

La mostra dà ampio spazio anche alla divulgazione, con la presenza nel percorso espositivo di un video monografico del regista Rubino Rubini realizzato nel 1994 e legato all’opera di Burri, considerato all’unanimità uno dei più grandi interpreti dell’arte del Novecento e recentemente celebrato con una retrospettiva allestita presso il Guggenheim Museum di New York in occasione del Centenario della nascita dell’artista (2015).Continue Reading..

08
Ott

Alberto Burri. The Trauma of Painting

The exhibition positions the artist as a central protagonist of post-World War II art and revises traditional narratives of the cultural exchanges between the USA and Europe in the 1950s and ’60s. It demonstrates how Burri created a new kind of picture-object that directly influenced Neo-Dada, Process art, and Arte Povera.

curator Emily Braun, Megan Fontanella, and Ylinka Barotto

From October 9, 2015, to January 6, 2016, the Solomon R. Guggenheim Museum will present a major retrospective—the first in the United States in nearly forty years and the most comprehensive in this country—devoted to the work of Italian artist Alberto Burri (1915–1995). Exploring the beauty and complexity of Burri’s process-based works, the exhibition positions the artist as a central protagonist of post–World War II art and revises traditional narratives of the cultural exchanges between the United States and Europe in the 1950s and ’60s. Burri broke with the gestural, painted surfaces of both American Abstract Expressionism and European Art Informel by manipulating unorthodox pigments and humble, prefabricated materials. A key figure in the transition from collage to assemblage, Burri rarely used paint or brush in conventional ways, and instead worked his surfaces with stitching and combustion, among other signal processes. With his torn and mended burlap sacks, “hunchback” canvases, and melted industrial plastics, the artist often made allusions to skin and wounds, but in a purely abstract idiom. The tactile quality of his work anticipated Post-Minimalist and feminist art of the 1960s, while his red, black, and white “material monochromes” defied notions of purity and reductive form associated with American formalist modernism. Bringing together more than one hundred works, including many that have never before been seen outside of Italy, the exhibition demonstrates how Burri blurred the line between painting and sculptural relief and created a new kind of picture-object that directly influenced Neo-Dada, Process art, and Arte Povera.

Alberto Burri: The Trauma of Painting is organized by Emily Braun, Guest Curator, Solomon R. Guggenheim Museum; Distinguished Professor, Hunter College and the Graduate Center, City University of New York; and Curator, Leonard A. Lauder Cubist Collection, with Megan Fontanella, Associate Curator, Collections and Provenance, and Ylinka Barotto, Curatorial Assistant, Solomon R. Guggenheim Museum. An accompanying study was led by Carol Stringari, Deputy Director and Chief Conservator, Solomon R. Guggenheim Foundation.

The Guggenheim Museum acknowledges the collaboration of the Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello, Italy.

“This comprehensive exhibition of the work of Alberto Burri affirms his position as a leading pioneer of postwar European art and one of the most groundbreaking artists of his time,” stated Richard Armstrong, Director of the Solomon R. Guggenheim Museum and Foundation. “Through the scholarship of our curatorial team led by Emily Braun, the Guggenheim is bringing to light new aspects of Burri’s experimental and innovative practice. We welcome the opportunity to reacquaint twenty-first-century museumgoers with Burri’s legacy and to reexamine his impact both on his contemporaries and on a new generation of artists.”Continue Reading..