Tag: Magazzino

07
Set

Jan Fabre. Maskers

Mi disegno sempre meglio. Comincio a conoscere il mio muso, la mia maschera. Ma che cos’è un autoritratto? Qualcuno che nega di essere morto.
Jan Fabre, Anversa, 3 febbraio 1980

Magazzino è lieta di annunciare Maskers, la sesta mostra personale in galleria dell’artista belga Jan Fabre, a cura di Melania Rossi. Il progetto raccoglie parte della produzione scultorea di Fabre che affronta il tema dell’autoritratto, sia come forma di indagine sulla natura umana, sia come tentativo di rappresentare e liberare le diverse personalità che compongono la propria identità. Quando siamo davanti allo specchio riusciamo davvero a vederci? Pensiamo di riuscire ad afferrare la nostra immagine, ma non possiamo mai farlo davvero. Il corpo umano è in uno stato di costante trasformazione e i già tanti volti che possediamo mutano inesorabilmente nel corso del tempo. Jan Fabre racconta l’inafferrabilità del “sé” attraverso una serie di sculture in bronzo dorato e cera dal titolo Chapters I-XVIII (2010), busti in cui l’artista si rappresenta con l’aggiunta di attributi animali. La metamorfosi dall’uomo all’animale e dall’animale all’uomo è centrale in tutto il lavoro di Fabre e qui, tra corna e orecchie multispecie, l’artista compone una sorta di bestiario antropomorfo, in cui la perfezione del dettaglio anatomico e alcuni elementi colorati nascondono significati ora autobiografici, ora simbolici. Fabre ci appare come un impunito satiro insidiatore, come uno spietato e diabolico dittatore, uno sfrontato ribelle, un saggio fiero e serafico o un vinto costretto allo scherno delle orecchie d’asino. Il risultato è di una teatralità che tocca tutti i generi della narrazione surreale, talvolta grottesca, ironica, oppure drammatica e perfino spaventosa.

“Il mio corpo è un serbatoio che contiene tutti gli elementi umani: ricordi, avvenimenti e identità”, scrive nel 1986 il giovane Fabre nel suo “Giornale notturno”. L’aspetto, il carattere, l’educazione e l’esperienza ci rendono ciò che siamo; potenzialmente, però, possiamo essere tutto e la nostra identità è un carnevale di personaggi che appaiono, scompaiono e convivono. Questa serie di autoritratti diventa così l’esposizione di una personalità complessa, in lotta tra volontà di attacco e necessità di difesa, tra furia e vulnerabilità. Una sorta di fantasma dai mille volti, in cui la fissità dei tratti è in realtà sempre diversa. Nella forma, il naturalismo di Fabre è quello della tradizione fiamminga, quello dei suoi ideali maestri belgi, di Pieter Paul Rubens, che realizzò molti autoritratti nel corso della sua vita, di James Ensor, il pittore delle maschere e della morte, a cui sembra fare riferimento il teschio bronzeo Vanitas Compass (2011), vitalistico “memento mori” fabresco. In mostra sono presentate anche delle vere e proprie maschere-elmi, alcune delle quali sono la versione in bronzo dei copricapi usati da Jan Fabre durante le sue performance, come Sanguis/Mantis (Helmet) (2006), che insieme alle maschere-volti della serie Chapters svelano e nascondono le ramificazioni dell’io dell’artista e dell’animo umano.Continue Reading..

15
Ott

Jan Fabre. Gli Anni dell’Ora Blu

Pareti, oggetti, intere stanze ed edifici vengono trasformate attraverso il segno ossessivo della penna, annullate ma allo stesso tempo consacrate nelle loro forme dal passaggio dell’artista.

È con grande piacere che Magazzino annuncia la quinta personale dell’artista belga Jan Fabre in galleria. La mostra, intitolata Gli Anni dell’Ora Blu presenta per la prima volta in Italia la serie omonima di opere realizzate con la penna Bic negli anni Ottanta e Novanta. La bic-art, questo il termine con cui Fabre designa questo ramo della sua produzione, inizia alla fine degli anni Settanta con una serie di performance, in cui l’artista si relaziona, espandendo la tradizionale bidimensionalità del disegno, allo spazio e alla storia dell’arte. Pareti, oggetti, intere stanze ed edifici vengono trasformate attraverso il segno ossessivo della penna, annullate ma allo stesso tempo consacrate nelle loro forme dal passaggio dell’artista.

In questo contesto si sviluppano alcune tra le opere più celebri di Fabre come la serie Ilad of the Bic-Art, Tivoli (il cui video è presentato in mostra) del 1991 o la Blaue Raum realizzata nel 1988 al Bethanien o il monumentale The Hour Blue in collezione allo SMAK di Gent, fino a Das Medium (una delle prime opere di bic Art, realizzata nel 1979) in cui il disegno si materializza nell’oggetto, e il medium dell’opera diventa il corpo.

Nella serie di opere presentate in mostra, Fabre sintetizza un universo di simboli, metafore, fantasie e realtà, che emergono, quasi senza contorno, dal blu profondo del disegno. L’ora crepuscolare è essa stessa una metafora di un passaggio, di una metamorfosi, un tema che ricorre nella produzione pluridecennale dell’artista fiammingo.
Pugnali, spade, demoni, animali reali e fantastici, un immaginario che spesso attinge alla storia dell’arte e più in generale a una dimensione spirituale e mistica che si risolve però spesso nell’universo materiale della natura e dei suoi passaggi, guidano il nostro sguardo attraverso un mondo-momento (la metafora del crepuscolo) in cui le figure emergono sulla superficie scarabocchiata, sembrano prevalere e al contempo essere risucchiate dal gesto invasivo tracciato dalla penna.

In qualche modo, come nota Lorand Hegyi nel suo testo per la mostra realizzata al Museo Metropole Saint-Etienne nel 2011, l’Ora Blu è forse l’invito migliore per “schiudere agli occhi dell’osservatore, l’universo poetico e sensibile dell’eccezionale creatore che è Jan Fabre”.Continue Reading..