Tag: Gagosian Gallery

03
Ott

SARAH SZE

In the age of the image, a painting is a sculpture. A sculpture is a marker in time.
—Sarah Sze

Gagosian is pleased to present new works by American artist Sarah Sze. This is Sze’s first gallery exhibition in Italy, following her participation in the Biennale di Venezia in 2013 (Triple Point, US Pavilion) and 2015.

Sze’s art utilizes genres as generative frameworks, uniting intricate networks of objects and images across multiple dimensions and mediums, from sculpture to painting, drawing, printmaking, and video installation. She has been credited with changing the very potential of sculpture. Working from an inexhaustible supply of quotidian materials, she assesses the texture and metabolism of everything she touches, then works to preserve, alter, or extend it. Likewise, images culled from countless primary and secondary sources migrate from the screen to manifest on all manner of physical supports—or as light itself. A video installation, the latest of Sze’s Timekeeper series begun in 2015, transforms the oval gallery of Gagosian Rome into a lanterna magica, an immersive environment that is part sculpture, part cinema. In these studies of the image in motion, at once expansive and intimate, time, place, distance, and the construction of memory are engaged through a mesmerizing flux of projected images, both personal and found. A sort of Plato’s Cave, the new work confronts the viewer from simultaneous points of view: moving pictures of people, animals, scenes, and abstractions unfold, flickering and orbiting randomly like thought, or life itself. In an in-situ gesture that links the darkened video gallery with the adjoining room of new panel paintings, Sze materializes light as a spill of paint applied directly to the stone floor. In the paintings, her nuanced sculptural language adapts to the conditions of the flat support. In delicate yet bold layers of paint, ink, paper, prints, and objects, the three dimensions of bricolage are parsed into the two dimensions of collage. Here, color draws its substantive energies as much from the innate content of found images as from paint and ink. Fields of static, blots, and cosmic vortices emerge out of archival material drawn from the studio and its daily workings in endless visual permutations that collide and overlap in an abundance of surface detail. In November, Sze will add her first outdoor stone sculpture to the exhibition, a natural boulder split open like a geode. Each of the two revealed cuts has a sunset sky embedded in its flat surface, alluding to both the images perceptible in gongshi (scholar’s rocks) and the heavenly subjects of Renaissance paintings. From November 19, Sze’s large-scale installation Seamless (1999) will be on view at Tate Modern, London.

SARAH SZE
Inaugurazione: sabato 13 ottobre, 18:00 – 20:00
13 ottobre 2018–12 gennaio 2019

Gagosian
Via Francesco Crispi 16
00187 Rome
T. 39.06.4208.6498
roma@gagosian.com
Hours: Tue–Sat 10:30-7

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Gagosian
Matilde Marozzi | pressrome@gagosian.com | +39 06 4208 6498

Image: Sarah Sze, Untitled, 2018(dettaglio), olio,acrilico, cartad’archivio, stabilizzatori UV, adesivo, scotch, inchiostro e polimeri acrilici, gommalacca, e vernice ad acqua su legno, 213.4×266.7×8.9cm©SarahSze

30
Mar

SHIO KUSAKA

Gagosian è lieta di presentare la prima mostra in Italia dell’artista giapponese Shio Kusaka.

Kusaka, nota per i suoi lavori in continua tensione tra astratto e figurativo, ha sviluppato per Roma un progetto fortemente incentrato sulle geometrie dell’astrazione. Le ceramiche in mostra, variazioni sulla forma del vaso, sono disegnate e incise con linee geodetiche continue tramite un processo contemporaneamente sistematico e intuitivo. Ripetizioni minimaliste si estendono lungo i volumi stondati riecheggiando le griglie di Agnes Martin o i disegni a muro di Sol LeWitt, e rivelando le irregolarità della linea disegnata a mano per creare terreni sinuosi oscillanti. Nella sua opera Kusaka fonde la raffinata lavorazione tradizionale della ceramica con dettagli e soggetti giocosi quali palloni da basket, frutta, dinosauri, gocce di pioggia e venature del legno. I lavori geometrici offrono una dimostrazione più immediata della padronanza tecnica dell’artista che, ​concentrandosi sull’elaborazione di un singolo processo ne scopre le infinite varianti. Nei precedenti lavori astratti Kusaka spesso “terminava” una linea o un motivo a griglia appena questi venivano distorti dalla curvatura del vaso, producendo motivi frammentati, come dei disegni sovrapposti, che contraddicevano il volume tridimensionale dello stesso. In queste nuove opere, invece, l’artista assume un approccio quasi topografico, sviluppando la manualità tattile necessaria per lavorare al tornio intagliando o disegnando linee intricate lungo ogni superficie del vaso. Lasciando che la tridimensionalità di ciascun vaso determini le curve concentriche delle linee, Kusaka fonde i primordiali atti creativi del disegno e della scultura. Mentre alcune linee appaiono sottili e parallele, altre assomigliano a delle onde e a schemi topografici. Saranno presenti in mostra i vasi più grandi mai realizzati dall’artista disposti su un piedistallo lungo e curvo, e smaltati in vari colori, dal blu pallido, al rosa, al giallo fino ad un placido bianco sporco. Il liquido denso si ferma al di sopra della base di ognuno: una precauzione necessaria per la cottura a fuoco, e un sottile ricordo delle trasformazioni alchemiche tipiche di questa tecnica. In una selezione di vasi più piccoli, Kusaka ripropone molti dei motivi a incisione come disegni a matita su fondo bianco, creando echi più intimi, quasi degli schizzi, dei lavori più grandi. L’artista ribadisce così la tecnica dei Minimalisti basata sul metodo, e sottolinea anche l’infinito potenziale della forma stessa che varia da grande a piccola, da liquida a solida, da due a tre dimensioni.

Un catalogo illustrato verrà pubblicato in occasione della mostra.

Shio Kusaka nasce nel 1972 a Morioka, in Giappone e vive e lavora a Los Angeles. Ha conseguito la laurea in Belle Arti nel 2001 all’Università di Washington,  Seattle. Il suo lavoro è incluso nelle seguenti collezioni: Museum Voorlinden, Wassenaar, Olanda; The Broad, Los Angeles; Allen Memorial Art Museum, Oberlin, Ohio; e Nerman Museum of Contemporary Art, Overland Park, Kansas. Tra le mostre personali recenti: Whitney Biennial del 2014, New York; “Jonas Wood and Shio Kusaka: Blackwelder”, Gagosian, Hong Kong (2015); e “Shio Kusaka and Jonas Wood”, Museum Voorlinden, Wassenaar, Olanda (2017–18).

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19
Dic

Andreas Gursky. Bangkok

Con l’introduzione del digitale non si può più dare una definizione univoca del termine “fotografia”. Quando ho iniziato il mio lavoro, sentivo che sarei stato sempre dipendente dal mondo materiale. Sembrava più interessante essere un pittore nel proprio studio, libero di decidere cosa fare, come sviluppare la composizione. Non sono un pittore, ma ora ho la stessa libertà.
—Andreas Gursky

Gagosian è lieta di presentare una selezione di opere di Andreas Gursky dalla serie Bangkok (2011) e la monumentale Ocean VI(2010), esposte per la prima volta in Italia. La mostra coincide con il decimo anniversario dell’apertura di Gagosian a Roma. Gursky ha dimostrato che un fotografo può ideare e costruire—piuttosto che semplicemente “scattare”—foto del mondo contemporaneo, e realizzarle con la stessa scala della pittura monumentale. Così come i pittori di storia del passato trovavano i loro soggetti nella vita quotidiana, anche Gursky trae ispirazione dalla sua esperienza visiva personale e dai fenomeni globali comunicati dai media. Avendo utilizzato inizialmente il computer come semplice strumento di ritocco, ha poi esplorato le sue potenzialità per modificare le immagini: a volte combinando elementi dello stesso soggetto tratti da foto differenti, unendoli in un insieme intricato ma omogeneo, a volte decidendo di ritoccare pochissimo l’immagine. Le opere di Gursky hanno una coerenza formale che nasce dal dialogo audace e tagliente tra fotografia e pittura, rappresentazione e astrazione. Nel corso del tempo, l’artista ha ampliato i suoi soggetti inquadrando e distillando gli schemi e le simmetrie del mondo globalizzato, con i suoi flussi e reticolati di dati e persone, architettura e spettacolarizzazione di massa. Inseguendo l’obiettivo di creare “un’enciclopedia della vita”, il mondo di Gursky fonde il moto perpetuo dell’esistenza con la stasi della riflessione metafisica. Nella primavera del 2011 Gursky visita Bangkok e osserva il fiume Chao Phraya che scorre attraverso la città sfociando nel Golfo del Siam. Nelle fotografie di questa serie, l’artista immortala da vicino la superficie tremolante del fiume con le sue luminose increspature catturate in un’estesa struttura verticale a suggerire gli effetti cromatici dell’Impressionismo, o le intense composizioni dei modernisti americani del dopoguerra. Il fiume, nella sua costante trasformazione, mostra un mutevole e cangiante disegno; una simmetria come nelle immagini di Rorschach; o, come in Bangkok VI, una luminosa fascia turchese, riflesso della rete di plastica di un ponteggio per costruzioni. Tuttavia, questa bellezza formale suggerisce una realtà tossica e scientifica. Come i corsi d’acqua urbani in tutto il mondo, tra i quali anche il Tevere a Roma, il Chao Phraya attraverso l’obiettivo di Gursky rivela le sue diverse nature: discarica per ogni tipo di rifiuto (preservativi usati, materassi, copertoni d’auto); crogiolo di squilibri naturali (pesci morti e la bella ma devastante alga conosciuta come giacinto d’acqua); riflesso della città moderna in uno stato di flusso costante.

Ocean VI (2010) è un’immagine satellitare nella quale l’acqua diventa un sublime e imperscrutabile vuoto. Incantato dalle immagini della rotta di un lungo viaggio aereo, Gursky ne interpreta la rappresentazione grafica—i margini e le vette delle masse terrestri nitidamente delineate intervallate dalle vaste distese blu dell’oceano—come fosse una fotografia. Per la serie Oceans ha reperito foto satellitari in alta definizione, da cui ha generato la sua personale interpretazione di mare e terra, consultando mappe dei fondali per ottenere la giusta densità visuale. Dominata dall’Atlantico, con le isole caraibiche e parti della costa del nord e sud America visibili ai confini più estremi,Ocean VI sottolinea la vulnerabilità dei continenti della Terra, mentre i livelli degli oceani aumentano ad un ritmo crescente. Le opere di Gursky toccano così un tema fondamentale della vita contemporanea, rivelando le minacce ambientali su scala locale e globale.Continue Reading..

13
Set

Davide Balula. Iron levels

Sono affascinato dalla strumentazione e dalla tecnologia in generale…Credo nell’idea di un corpo “prolungato”. Sappiamo così poco, percepiamo così tanto.
—Davide Balula

Gagosian è lieta di presentare “Iron Levels”, una mostra di nuove opere dell’artista francese Davide Balula. Surreale, spiritoso e impegnato, il lavoro di Balula esamina l’interrelazione tra filosofia, fenomenologia e fisica.

Per la galleria di Roma, l’artista ha creato un percorso esperienzale direttamente collegato all’architettura dello spazio. All’ingresso, i visitatori sono invitati ad attraversare un metal detector, strumento di indagine e controllo ormai onnipresente che tramuta gli oggetti personali in materiale sospetto e potenzialmente minaccioso. Il suo fine è rivelare  il metallo e il materiale non-corporeo che portiamo con noi ogni giorno—chiavi, monete, cellulare—e che consideriamo abitualmente come un’estensione di noi stessi, fungendo quindi da portale che separa lo spazio idealizzato della galleria dal mondo esterno.

Nella prima sala il visitatore è invitato a prendere in mano una sfera di acciaio. Il suo contenitore, scolpito da artigiani locali in pietra calcarea, rievoca la morbidezza e le curve della pelle e la resa anatomica dei Maestri scultori italiani.

La sfera e il suo supporto esplorano l’equilibrio gravitazionale tra il corpo e la Terra, invitando a riflettere sul peso, la massa e la densità.

La sala ovale ospita una nuova serie dei noti Burnt Paintings di Balula, realizzati appositamente per l’ampia curva della parete principale. Queste opere presentano due elementi binari: uno contiene il residuo di carbone che resta dal legno bruciato, e l’altro l’impronta su tela lasciata dallo stesso carbone. In gruppi di due, tre o quattro elementi per opera, questi “dipinti” vivono in una stretta relazione di positivo e negativo, come nella fotografia o nel processo di stampa. Il processo di creazione del carbone è lento e continuo con un graduale aumento e diminuzione della temperatura, in modo che il legno non diventi cenere ma possa essere bruciato ancora. I Burnt Paintings esaminano la ciclica, quasi alchemica, trasformazione di energia in natura, fenomeno fondamentale nel lavoro di Balula.

Davide Balula è nato nel 1978 a Vila Dum Santo, Portogallo e vive e lavora tra New York e Parigi. Il suo lavoro è incluso nelle collezioni del Centre Georges Pompidou, Parigi; Fonds National d’Art Contemporain, Parigi; Musée d’Art Contemporain du Val–de–Marne, Vitry–sur–Seine, Francia; Fonds Régional d’Art Contemporain Poitou–Charentes, Francia; e Fonds Régional d’Art Contemporain Provence–Alpes Côte d’Azur, Francia. Tra le personali recenti si annoverano :  “Sirène du Mississipi”, Musée de l’Objet, Blois & Ecole des Beaux Arts de Châteauroux & Bourges, Francia (2007); “Endless Pace”, Museums Quartier Vienna, Austria (2007); e “La main dans le texte”, Prix Marcel Duchamp, FIAC, Parigi (2015). Balula parteciperà alla prossima Biennale de Lyon nel settembre di quest’anno.

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17
Gen

Giuseppe Penone. Equivalenze

Le vene d’acqua che sgorgano dal terreno scorrono in rivoli che confluiscono, come i rami nel tronco, come le dita nel palmo di una mano, come il bronzo nella matrice di un albero.
—Giuseppe Penone

Gagosian Roma è lieta di presentare Equivalenze, una mostra di nuove sculture di Giuseppe Penone.

 Fin dagli esordi nel movimento dell’Arte Povera, il lavoro di Penone si è contraddistinto per il coinvolgimento attivo con la natura e il tempo attraverso la consapevolezza del potere rivelatore dell’arte. Partendo dall’idea che la scultura abbia origine da impulsi primari—come riempirsi la bocca con dell’acqua, imprimere un segno sull’argilla con le mani, e così via, l’artista elabora e arricchisce le sue intenzioni attraverso una ricerca filosofica e un intenso processo estetico.

In Equivalenze Penone utilizza il processo scultoreo per rivelare le corrispondenze tra il corpo e la natura. Forme di terracotta modellate nel pugno dell’artista contengono l’impronta della sua energica presa. Penone le ha fissate su piastre di metallo dove l’ossidazione riproduce il contatto della pelle con la superficie. Questa ripetizione di segni dà vita ad una vivace astrazione che richiama le ombre tremolanti di una pianta rigogliosa o le macchie intermittenti di un paesaggio fauve: una zona di confine tra natura e arte.

Le opere di Penone sono memorie corporee, materializzate, testimoni della sua idea che anche noi, come le rocce, gli alberi, e l’acqua, siamo costantemente in trasformazione, e trasformati dall’ambiente circostante. I nostri gesti rispecchiano la tortuosità e la verticalità degli alberi che contengono testimonianze concentriche del tempo nel loro legno. Per l’opera Equivalenze (2016), Penone ha realizzato il calco in gesso di alcune parti di un albero, facendone poi una fusione in bronzo. Dalle radici emerge una spirale antropomorfa di corteccia che si trasforma in figura di fronte alla sua controparte vegetale, in un’equivalenza di forme tra il vuoto dell’albero e il vuoto della persona. Penone considera questi incontri come gesti vegetali. Nelle sue mani la forma umana viene liberata dall’albero e l’albero, a sua volta, rivela i tratti viscerali del corpo. Attraverso la scultura, Penone svela l’anima delle cose, creando un legame tra l’essenza della natura e la percezione del gesto umano.

Giuseppe Penone è nato nel 1947 a Garessio, Italia, e attualmente vive e lavora a Parigi e Torino. La sua opera è inclusa in collezioni istituzionali tra cui il Museum of Modern Art, New York; Tate Modern, Londra; Centre Georges Pompidou, Parigi; MOCA, Los Angeles; National Gallery of Canada, Ottawa, ON; Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma; National Museum of Modern Art Tokyo; Royal Museums of Fine Arts of Belgium, Bruxelles; MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma; Inhotim Centro de Arte Contemporânea, Brumadinho, Minas Gerais, Brasile; Fondation Louis Vuitton, Parigi; Sammlung Reinking, Amburgo; Neues Museum Weimar, Germania; Stedelijk Museum Amsterdam; Berardo Museum, Lisbona; MAMbo – Galleria d’Arte Moderna di Bologna, Italia; ARCO Collection, Madrid.

Tra le recenti mostre personali: “Retrospective Exhibition 1968–2004”, Centre Georges Pompidou, Parigi (2004, poi a CaixaForum, Barcellona); Museo d’Arte Moderna di Bologna, Italia (2008); Toyota Municipal Museum of Art, Giappone (2009); Musée des Arts Contemporains du Grand-Hornu, Belgio (2010); “Drawings and Sculptures”, Fondation De Pont, Tilburg, Noord-Brabant, Paesi Bassi (2010); “The Hidden Life Within”, Art Gallery of Ontario, Canada (2011); Centre d’arts et de nature, Parc du Château, Domaine de Chaumont-sur-Loire,

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02
Ott

Adriana Varejão. Azulejao

Nel Barocco il bello e il grottesco convivono sempre come opposti: è un’estetica che ha a che fare con i contrasti. —Adriana Varejão

Gagosian Gallery è lieta di annunciare una mostra di nuovi lavori di Adriana Varejão.

Tra gli artisti brasiliani più rinomati, Varejão è molto nota per la sua riflessione incisiva sulla storia e la cultura del Brasile, ricche e allo stesso tempo conflittuali, come rappresentato nella serie dei suoi dipinti “maiolica” iniziata nel 1988. Queste opere particolarmente creative simulano gli azulejos ovvero le maioliche dipinte che, attraverso complesse vicissitudini legate al commercio e alla colonizzazione, congiungono il Brasile con il Portogallo. L’azulejo, una mattonella quadrata in terracotta smaltata, è il mezzo decorativo maggiormente impiegato nell’arte nazionale portoghese fin dal Medio Evo. Tradizionalmente i grandi e teatrali motivi degli azulejos venivano usati per decorare gli edifici sia religiosi che secolari, omogeneizzando così l’architettura in un’unica illusione pittorica. L’azulejo ha costantemente rinnovato la sua forza nei secoli, riflettendo l’eclettismo naturale di una cultura espansiva ed aperta al dialogo. La tecnica, che si avvaleva delle lezioni degli artigiani Moreschi ispirati alle ceramiche di Siviglia e Valencia, si adattò in seguito alle formule ornamentali del Rinascimento italiano per arrivare a includere anche l’esotismo della Cina orientale. Dopo un breve periodo di ispirazione olandese, subentrarono narrazioni figurative fantastiche in bianco e blu, a dimostrazione della perfetta assimilazione di diversi elementi, e diffuse in luoghi dell’impero portoghese molto distanti tra loro come per esempio il Brasile. Il costante richiamo all’azulejo nell’arte di Varejão è una metafora del mescolarsi delle culture, sia volontario che violento. Le grandi maioliche dell’artista sono realizzate in gesso e pittura a olio su tela. Uno strato generoso di gesso è applicato sul fondo delle tele e poi lasciato ad asciugare. Durante il processo di essiccazione, iniziano ad apparire delle crepe che, come nate da un fenomeno geologico naturale, rendono ogni superficie unica ed irripetibile. Nell’arco di vent’anni questi dipinti squadrati hanno mantenuto la loro dimensione, talvolta andando a creare dei lavori monumentali come Celacanto provoca maremoto (2004–08), ora ospitato in uno spazio apposito a Inhotim, lo spettacolare parco museo di arte contemporanea nello Stato brasiliano di Minas Gerais. In questo lavoro le scritte sulla storia, la cultura, il paesaggio, la geografia e il corpo umano, che popolavano i primi dipinti di Varejão, sono incorporati in un delirio torbido di motivi blu e bianchi e di immagini frammentarie, rappresentate in una struttura a griglia a simulare un’enorme parete di maioliche. I lavori in mostra a Roma pensati appositamente per l’occasione, sono i più grandi dipinti-maiolica che Varejão abbia prodotto finora (180 cm quadrati). I motivi, quali una testa d’angelo, una colonna dorica, una rosa o una conchiglia, sono resi in sfumature leggere di blu e bianco a seconda dei singoli riferimenti storici e ingranditi fino al punto in cui iniziano a dissolversi in opulenti gesti astratti.Continue Reading..

11
Giu

GIUSEPPE PENONE. Spazio di luce

GIUSEPPE PENONE SPAZIO DI LUCE

MAY 2 – JUNE 6, 2015

…There is a place on the border between France and Italy, the Valley of Miracles (Valle delle Meraviglie), where there are circa 30,000 rock carvings around Mount Bego, a sacred mountain.

The miracle is not the carvings, but the beauty of the site with its valleys, its mountains, its larches, and the presence of the sea evoked by the smell of the grass.

It is a beauty that suggests a sense of sacredness.

It is a protected area, a natural park in which the vegetation and the territory are periodically maintained. I know woodsmen who work in the park under the supervision of forest rangers, and I go to them when I need larches. The altitude tapers the form of these larches. Large at the base, their trunk narrows rapidly, accentuating its conical shape. I used one of these trees for Space of light. I coated the trunk and the branches with a layer of wax, as if it were a year’s growth in the tree’s life cycle. When it came into contact with the trunk, the wax was imprinted with the pattern of the bark and the signs of the hands that applied it.

I cast it in bronze in eight sections of circa 170 centimeters, obtaining a covering with handprints on the external surface and the negative trace of the tree bark on the inside.

The surface on the inside was covered in gold. The eight sections of the sculpture are lined up horizontally one after another at a distance of about 50 centimeters.

Looking at the interior, one’s gaze follows the absent core of the tree and the light reflected off the gold emphasizes the space, a space of light that testifies to the absence of the tree, a being whose form and existence are defined by the search and the exposure to the light.

Space of light extends for twenty meters towards the line of the horizon, imprisons the light and the gaze in its interior, directing them towards the central focal point of the vista.

The gaze is closed into the interior of the bronze, a year of bronze…Continue Reading..

05
Mag

GIUSEPPE PENONE: Spazio di luce

GIUSEPPE PENONE SPAZIO DI LUCE

MAY 2 – JUNE 6, 2015

…There is a place on the border between France and Italy, the Valley of Miracles (Valle delle Meraviglie), where there are circa 30,000 rock carvings around Mount Bego, a sacred mountain.

The miracle is not the carvings, but the beauty of the site with its valleys, its mountains, its larches, and the presence of the sea evoked by the smell of the grass.

It is a beauty that suggests a sense of sacredness.

It is a protected area, a natural park in which the vegetation and the territory are periodically maintained. I know woodsmen who work in the park under the supervision of forest rangers, and I go to them when I need larches. The altitude tapers the form of these larches. Large at the base, their trunk narrows rapidly, accentuating its conical shape. I used one of these trees for Space of light. I coated the trunk and the branches with a layer of wax, as if it were a year’s growth in the tree’s life cycle. When it came into contact with the trunk, the wax was imprinted with the pattern of the bark and the signs of the hands that applied it.

I cast it in bronze in eight sections of circa 170 centimeters, obtaining a covering with handprints on the external surface and the negative trace of the tree bark on the inside.

The surface on the inside was covered in gold. The eight sections of the sculpture are lined up horizontally one after another at a distance of about 50 centimeters.

Looking at the interior, one’s gaze follows the absent core of the tree and the light reflected off the gold emphasizes the space, a space of light that testifies to the absence of the tree, a being whose form and existence are defined by the search and the exposure to the light.

Space of light extends for twenty meters towards the line of the horizon, imprisons the light and the gaze in its interior, directing them towards the central focal point of the vista.

The gaze is closed into the interior of the bronze, a year of bronze…

—Giuseppe Penone, 22 Opere a Versailles, Château de Versailles, Paris, 2013

Giuseppe Penone was born in 1947 in Garessio, Italy. He lives and works in Paris and Turin. Public collections include Tate Gallery, London; Centre Georges Pompidou, Paris; Musée d´Art Moderne de la Ville de Paris; MAXXI, Rome; Castello di Rivoli, Turin; Stedelijk Museum, Amsterdam; Museum of Modern Art, New York; and Museum of Contemporary Art, Los Angeles. Recent solo exhibitions include Centre Georges Pompidou, Paris (2004); Toyota Municipal Museum of Art, Toyota, Japan (2008); Ikon Gallery, Birmingham, United Kingdom (2009); Musée des Arts Contemporains, Grand-Hornu, Belgium (2011); Documenta 13, Kassel (2012); “The Bloomberg Commission: Giuseppe Penone,” Whitechapel Art Gallery, London (2012); “Penone Versailles,” Château de Versailles, France (2013); “Giuseppe Penone,” Kunstmuseum Winterthur, Switzerland (2013); “Ideas of Stone,” Madison Square Park, New York (2013–14); “Prospettiva Vegetale,” Forte di Belvedere—Boboli Gardens, Florence (2014); “Breath is a Sculpture,” Beirut Art Center, Beirut (2014); and “Giuseppe Penone,” Musée Grenoble, France (2014). Penone co-represented Italy in the 52nd Venice Biennale (2007) and was awarded the Praemium Imperiale by the Japan Art Association in 2014.

The Nasher Sculpture Center, Dallas will present a major solo exhibition of Penone’s work from September 19, 2015 to February 10, 2016.

For further inquiries please contact the gallery at +39.06.4208.6498 or at roma@gagosian.com. All images are subject to copyright. Gallery approval must be granted prior to reproduction.

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17
Apr

Richard Avedon. Beyond Beauty

La restrospettiva include la maggior parte delle fotografie di moda e i ritratti femminili, scattati con originalità, umorismo ed intuizione sia a donne famose che sconosciute.

Ogni volta che mi concentro sulla bellezza di un viso, sulla perfezione di ogni singolo dettaglio, mi sembra come se non potessi cogliere cosa ho di fronte, sedotto dallo standard di bellezza dell’altro o dalla sua opinione su quali siano le sue migliori qualità. E di solito questo non è mai auspicabile. Così ogni sessione diventa una sfida.
—Richard Avedon

Gagosian Gallery Roma è lieta di annunciare “Avedon: Beyond Beauty”, una retrospettiva che include la maggior parte delle fotografie di moda e molti degli iconici ritratti femminili realizzati da Richard Avedon durante la sua originale e prestigiosa carriera.

Giovane assistente fotografo della Marina Mercantile Americana durante la Seconda Guerra Mondiale, il primo compito di Avedon era scattare foto identificative, un’esperienza sulla quale disse: “Penso di aver ritratto centomila volti prima di diventare un fotografo”. Successivamente e fin dall’inizio della sua carriera da professionista, la padronanza della composizione, dell’ambientazione, delle circostanze, e il rifiuto di distinguere tra fotografia artistica e commerciale, hanno dato vita ad un corpus di lavori di grande effetto – che fossero ritratti di personaggi famosi, scatti pubblicitari di marchi commerciali, o intensi reportage culturali e politici sulla povertà, la guerra, le questioni razziali.Continue Reading..