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14
Feb

Franco Vaccari – Migrazione del reale

Migrazione del reale is the first solo exhibition by Franco Vaccari (Modena, 1936) at Galleria P420.

Migrazione del reale is based on Vaccari’s deep interest in dreams, which since 1975 have been the focus of five Esposizioni in tempo reale (exhibitions in real time) as well as a vast output of works closely connected with things dreamt by the artist himself over a span of nearly 40 years. Already in his participation in the Venice Biennale in 1972, Vaccari put aside the traditional role of the artist, acting as an instigator of processes by installing a Photomatic booth with a sign on the wall encouraging visitors to leave a trace of their passage in the space. The main lines of this action then went through a predictable, logical development. But when dreams make their appearance in the Exhibitions in real time “the role of a ‘remote controller’ dissolved, in turn, to the extent that the dream functions as an activator of reality—as the artist himself explains—namely as a pretext to detour an apparently definite situation towards unexpected results, unexpected reality.” In the early 1980s Vaccari began a singular artistic practice, painstakingly annotating and illustrating his nocturnal dreams in notebooks; over the decades, he has created a series of works in which photography and painting coexist to represent subjects and forms that have not been sought, not been studied, but are totally suggested by mechanisms of the unconscious.

I would like to emphasize the fact that I am not interested in the surreal or disorienting dimension of dreams—Vaccari writes in a text from 1985—nor in aspects of the extraordinary, the exceptional, even the psychoanalytic. I am attracted by the ‘real’ dimension of dreams. The real world has been emptied of reality, while at the same time reality has migrated towards the territory of dreams.”

But another image complicates the relationship between dream and reality. Migrazione del reale presents a video installation in which the Oumuamua interstellar asteroid looms in a sidereal space, perhaps closer than we might think. Reality reveals itself in all its oneiric character, and dreams and nightmares seem to take on a weight that is more than real.

Oumuamua, a messenger from afar arriving first as the name might be translated, the first interstellar object to literally cross the orbital planes of the planets of our solar system and then disappear back into interstellar space, exists in reality, like a premonitory dream.

Among Vaccari’s most recent exhibitions: the 5th Ural Industrial Biennial of Contemporary Art, Urals and Siberia (2019), Tutto. Prospettive sull’arte italiana, MUSEION, Bolzano (2018);Matriz do tempo real, curated by Jacopo Crivelli Visconti, MAC USP, Sao Paulo, (2018); and Take Me (I’m Yours), curated by Christian Boltanski, Hans Ulrich Obrist, Chiara Parisi, Roberta Tenconi, Hangar Bicocca, Milan (2017). An important event is now being programmed at the Walker Art Center in Minneapolis in 2020.

Franco Vaccari – Migrazione del reale
P420, Bologna / Italy
January 25–March 21, 2020

P420
Via Azzo Gardino 9
40122 Bologna
Italy
Hours: Tuesday–Saturday 10:30am–1:30pm,
Tuesday–Saturday 3–7:30pm

T +39 051 484 7957
info@p420.it

Image: Franco Vaccari, Oumuamua (messaggero che arriva per primo da lontano), 2020, video installation, 5’15’’ (courtesy credit ESO/M. Kornmesser, USA)

21
Nov

Alessandra Spranzi. Mani che imbrogliano

Mani che imbrogliano è la seconda mostra personale di Alessandra Spranzi alla galleria P420, dopo Maraviglia (2015) e la collettiva Lumpenfotografie (2012, con Hans-Peter Feldmann, Peter Piller, Joachim Schmid e Franco Vaccari). La nuova mostra presenta lavori recenti e altri che risalgono fino al 1995, in una specie di punteggiatura del pensiero, o della visione, che è sempre nel presente, ma che si sviluppa in un ampio arco temporale. Alessandra Spranzi lavora con l’immagine fotografica in modi e forme diverse: fotografando, rifotogrando, raccogliendo, tagliando, indicando, cancellando. Interviene quando le immagini e le cose si allontanano dal loro uso e diventano, per così dire, inconsapevoli di sé, delle proprie possibilità e della propria bellezza. Per Mani che imbrogliano l’artista ha preparato un grande spettacolo di magia fatto di poco, molto poco. Immagini da manuali, di oggetti trovati o raccolti per strada insieme ad altri che animano da sempre le quinte della nostra casa, gesti che mostrano, che provano a spiegare qualcosa. Come Harry Houdini, che proponeva, per 50 centesimi, di insegnare “Come leggere al buio biglietti piegati”. Carte piegate al buio con dentro, forse, un’immagine.

Alessandra Spranzi, è nata a Milano nel 1962 dove vive. Ha studiato alla Scuola Politecnica di Design e all’Accademia di Belle Arti di Brera.
E’ docente di Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Dal 1992 ha partecipato a diverse mostre, sia personali che collettive alla galleria P420, Bologna, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, al Centre National de la Photographie, Ile de France, alla galleria Arcade, Londra, al MAMbo, Bologna, alla Galleria Martano, al Maga, Gallarate, alla, galleria Nicoletta Rusconi, Milano, al Festival di Fotografia Europea, Reggio Emilia, al Museo di fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo, alla Galleria Fotografia Italiana, Milano, al Man, Nuoro, alla Gamec, Bergamo, al Museo Marino Marini, Firenze, alla Galleria Emi Fontana, Milano, al Museo Pecci, Prato, a Le Magasin, Grenoble, al Careof, Cusano Milanino. Dal 1997 ha realizzato numerose pubblicazioni e libri d’artista.
L’ultimo libro, Uova, posate e altri oggetti, è stato pubblicato in occasione di Mani che imbrogliano.

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01
Mar

Teoria ingenua degli insiemi

Teoria ingenua degli insiemi
Paolo Icaro
Bettina Buck, Marie Lund, David Schutter
a cura di Cecilia Canziani e Davide Ferri
30 gennaio – 26 Marzo 2016

P420 inaugura il nuovo spazio a Bologna in Via Azzo Gardino 9 con due mostre curate da Cecilia Canziani e Davide Ferri.
Un insieme è una qualunque collezione di oggetti della nostra intuizione o del nostro pensiero. Gli oggetti, detti elementi dell’insieme, devono essere distinguibili e ben determinati
G. Cantor, Teoria ingenua degli insiemi
Il modello di insieme sviluppato dal matematico tedesco Georg Cantor (1845 – 1918) elaborato alla fine del XIX secolo e fondamentale per lo sviluppo della matematica moderna, è una teoria che si basa sul concetto di appartenenza: un insieme è a tutti gli effetti una collezione di elementi distinti, con la particolarità che gli elementi dell’insieme possono essere, a loro volta, insiemi. E’ una teoria non riconducibile a concetti definiti, ma intuitiva e aperta al paradosso e alla contraddizione.

Teoria ingenua degli insiemi è un titolo per due mostre: un progetto espositivo di Paolo Icaro le cui opere sono state scelte per attivare un dialogo con una mostra che include lavori di Bettina Buck, Marie Lund e David Schutter.
Le due mostre si trovano a condividere lo stesso spazio, e una accanto all’altra, o, letteralmente, una dentro l’altra, possono dialogare per contrasti, o temporanee assonanze, portando alla luce richiami tra poetiche di artisti che appartengono a geografie e genealogie diverse. Somiglianze non sensibili che indicano preoccupazioni comuni restituite in forme differenti.

Teoria ingenua degli insiemi è dunque un’indagine sul lavoro di Paolo Icaro (Torino, 1936) condotta su un arco temporale molto ampio e declinata attorno all’opera Cardo e decumano (2010) che idealmente ri-orienta lo spazio espositivo e ne ripartisce i confini. Attorno a questa ossatura composta di due linee tratteggiate ortogonali, formate da variazioni numeriche di elementi modulari in ferro, si articola una progressione di opere non cronologica, con lavori appartenenti a periodi differenti. Così i Lunatici (1989) sono un campionario di azioni della mano su una porzione di materia data; Lassù: per un blu K (1990) è un lavoro in cui la misura del fare si distende fino a incontrare l’infinito in un punto; Esplosa (1990) è una scultura che disegna lo spazio, che “fa spazio”, anziché occuparlo; Numericals 1 – 10 (1978), in cui un danzatore interpreta liberamente una progressione numerica, è una performance in cui il corpo diventa materia scultorea.Continue Reading..