Tag: SOL LEWITT

20
Gen

Blanc sur Blanc

Gagosian is pleased to present Blanc sur Blanc, a group exhibition.

A century ago, Kazimir Malevich’s Suprematist paintings heralded a revolutionary new interpretation of white, in which total abstraction suggests the utopian and the infinite. Since then, artists have deployed the achromatism of whiteness in an endless range of formal and symbolic ways, evoking states of emptiness and effacement, and summoning the raw potential of the blank page. Working in different contexts and with different ends in mind, the artists in Blanc sur Blanc find unexpected power and substance in what appears at first to be an absence or lack.

In 1946, Lucio Fontana and his students drafted the Manifesto Blanco, a vision for a fundamentally new method of artistic production that demanded that artists engage with the real-world physicality of their materials instead of treating the canvas as an illusory, self-contained space. It was out of this impulse that Fontana produced Concetto Spaziale, Attese(Spatial Concept, Waiting, 1966), one of his first slashed canvases. For Fontana, the painting’s allover coat of white formed a blank screen and acted as a vehicle for heightened drama, with any connotations of purity or tranquility disrupted by his forceful incisions.

During the last decade of his life, Andy Warhol broke with the visual and conceptual language of Pop art to produce idiosyncratic takes on abstract and gestural painting. Abstract Painting (1982) is one such work. Measuring forty inches square—the same dimensions that Warhol used previously for his notorious Society Portraits—the canvas is veiled in a white wash that permits only tantalizing glimpses of multicolored swirls beneath.

LEAN (2005) exemplifies Rachel Whiteread’s practice of concretizing negative space in order to memorialize it. Here she has cast the interiors of various cardboard boxes in plaster of paris as a somewhat wistful tribute to the banal, quotidian container. The resulting geometric accumulation of minimalist white slabs is propped up casually against the gallery wall, ghostlike yet palpable.

Also on view are three recent pieces by Paris-based artist Sheila Hicks, whose textile works incorporate yarn-based techniques from diverse cultures. While Hicks’s oeuvre is characterized by intense color, she also works with natural undyed fibers. Here she has fashioned spheres, woven rectangular canvases, and tumbling cascades of linen in neutral shades that exude a tactile yet meditative calm.

Blanc sur Blanc includes works by Jean (Hans) Arp, Agostino Bonalumi, Enrico Castellani, Edmund de Waal, Lucio Fontana, Theaster Gates, Diego Giacometti, Wade Guyton, Simon Hantaï, Sheila Hicks, Thomas Houseago, Y.Z. Kami, Imi Knoebel, Bertrand Lavier, Sol LeWitt, Sally Mann, John Mason, Olivier Mosset, Giuseppe Penone, Seth Price, Paolo Scheggi, Setsuko, Rudolf Stingel, Cy Twombly, Andy Warhol, Franz West, and Rachel Whiteread, among others.

BLANC SUR BLANC
January 16–March 7, 2020

Gagosian
4 rue de Ponthieu, Paris

Image: Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1966

11
Giu

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi

La galleria Tiziana Di Caro ospita la mostra intitolata Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi che include opere di William Anastasi, Hanne Darboven, Gino De Dominicis, Sol LeWitt, Agnes Martin, Pino Pascali e Francesca Woodman.

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi è un’appropriazione da David Foster Wallace, che più volte ha citato questa locuzione, in ultimo ne “Il re pallido”, e che nel 2013 è divenuta anche il titolo della biografia dedicatagli da D. T. Max.

L’idea della mostra consiste nella raccolta di opere di alcuni degli artisti che ho sempre considerato un riferimento. Coloro che hanno fatto confluire la mia attenzione in precise dinamiche artistiche e che rappresentano delle presenze costanti nelle mie scelte di gusto, sia per la natura poetica e al contempo sperimentale delle loro opere, sia per la condotta “militante” della loro ricerca.

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi, oltre ad essere una frase bellissima, è stata scelta in relazione ad una combinazione cronologica che lega l’apertura della mia galleria alla scomparsa di David Foster Wallace nel 2008. Attraverso la lettura di alcuni dei suoi testi, DFW mi ha indotto a una costante riflessione sull’arte, pur trattando uno spettro tematico altro, intriso di riferimenti eterogenei, comunque legati a una visione poliedrica del mondo, ai miei occhi estremamente vivida al punto da poter essere associata anche ad una nicchia complessa seppur esclusiva come quella delle arti visive.

Le opere del gruppo di artisti che include William Anastasi, Hanne Darboven, Gino De Dominicis, Sol LeWitt, Agnes Martin, Pino Pascali e Francesca Woodman ben si prestano all’idea che da sempre ho in mente di “astanza”, per dirla con le parole di Cesare Brandi, che conia questo termine per fare riferimento alle opere d’arte che attraversano la storia, assorbendone l’esperienza, senza mai smettere di essere attuali.
Ogni forma artistica ha un valore che va al di là del tempo e dello spazio. Non parlo solo delle arti visive, ma anche della letteratura, della musica come di qualsiasi altro ambito del sapere, per cui l’obsolescenza non è necessariamente contemplata. I fantasmi a cui si fa riferimento nel titolo sono quelle “idee” che ognuno di noi tende a elaborare in relazione a persone che si immagina di conoscere pur non avendole mai incontrate. In questa mostra quindi non si intende parlare di aldilà , tanto meno di figure ectoplasmiche, bensì di sentimenti che derivano dalla conseguenza del “guardare”, che trascendono qualsiasi aspetto fisico per divenire pura astrazione, un atto di amore nel momento in cui la tensione verso l’opera, o verso l’artista ha il sopravvento su qualsiasi altra considerazione oggettiva.

Si ringraziano: Fondazione Paul Thorel, Galleria Alfonso Artiaco, Serena Basso, Chiara Tiberio, Maurizio Morra Greco, Alessia Volpe, Valentina Bonomo, Ines Musumeci Greco, Galleria P420, Galerie Jocelyn Wolff

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12
Gen

Sol LeWitt. Between the lines

La Fondazione Carriero è lieta di presentare Sol LeWitt. Between the Lines, una mostra a cura di Francesco Stocchi e Rem Koolhaas organizzata in stretta collaborazione con l’Estate of Sol LeWitt.
Nel decennale della scomparsa di Sol LeWitt (Hartford, 1928 – New York, 2007), “Between the Lines” intende offrire un punto di vista nuovo sulla pratica dell’artista statunitense, esplorandone i confini – nel rispetto di quelle norme e di quei principi alla base del suo pensiero – e isolando i momenti fondanti del suo metodo di indagine e dei processi che ne derivano.
Attraverso un nutrito corpus di opere che ripercorrono l’intero arco della sua carriera – da 7 celeberrimi Wall Drawings a 15 sculture – e partendo dalla peculiarità degli spazi della Fondazione, il progetto espositivo esplora la relazione del lavoro di LeWitt con l’architettura. “Between the Lines” si basa su una chiave di lettura forte e innovativa, tesa innanzitutto a riformulare l’idea che sia l’opera a doversi adattare all’architettura, fino ad arrivare a sovvertire il concetto stesso di site- specific.
Con la collaborazione dell’architetto Rem Koolhaas – per la prima volta nella veste di curatore – in dialogo con il curatore Francesco Stocchi, “Between the Lines” affronta ampi aspetti dell’opera di LeWitt, con l’obiettivo ambizioso di superare quella frattura che tradizionalmente separa l’architettura dalla storia dell’arte e che caratterizza l’intera pratica dell’artista, rivolta più al processo che al prodotto finale, e scevra di qualsiasi giudizio estetico o idealista.

Sol LeWitt. Between the lines
fino al 23 giugno 2018

Orari di apertura
da martedì a domenica, 11.00 – 18.00
entrata libera
Chiuso il lunedì

Informazioni e prenotazioni
info@fondazionecarriero.org
Tel. +39 02 3674 7039

Fondazione Carriero
via Cino del Duca, 4 – 20122 Milano

Immagine: Sol LeWitt, complex form#34, 1990, ph. amaliadilanno  
gallery a cura di amaliadilanno

03
Giu

SOL LEWITT

Milano | Studio Giangaleazzo Visconti
24 maggio | 25 novembre 2016
SOL LEWITT

La mostra presenta 34 opere su carta – gouache, disegni, acquerelli – e tre progetti per i famosi Wall Drawings dell’artista americano, uno dei padri fondatori dell’arte concettuale.

“Mi piacerebbe produrre qualcosa che non mi vergognerei di mostrare a Giotto”
Sol LeWitt

Dal 24 maggio al 25 novembre 2016, lo Studio Giangaleazzo Visconti di Milano (c.so Monforte 23) dedica una mostra a Sol LeWitt, artista americano (Hartford, 1928 – New York, 2007) tra i più influenti della seconda metà del Novecento, uno dei padri fondatori dell’arte concettuale.
I suoi lavori sollecitano prima di tutto la mente dell’osservatore piuttosto che il suo occhio o le sue emozioni e si definiscono concettuali nella misura in cui è l’idea a presiedere all’esecuzione dell’opera.
L’esposizione propone 34 opere su carta – gouache, disegni, acquerelli – e tre progetti per i famosi Wall Drawing, i suoi murales, che rappresentano la sua cifra espressiva più alta e riconoscibile.

Il disegno e la pittura murale sono i due poli attorno ai quali si sviluppa la produzione dell’artista a partire dal 1968. È in questo periodo che LeWitt argomenta come l’idea sia la componente fondamentale della sua arte, ponendo l’esecuzione e l’oggetto come secondari. È infatti significativo che la realizzazione dei Wall Drawing sia lasciata ai suoi assistenti, e il risultato finale sia presentato insieme al progetto esecutivo, esposto a fianco del murales per aiutare l’osservatore a comprenderne l’idea di base e la conseguente complessità di sviluppo.

“Dal punto di vista espressivo – afferma Gianluca Ranzi nel testo in catalogo – quanto interessa a LeWitt è principalmente dato dal fatto che non solo il pensiero deve presiedere e superare d’importanza la realizzazione, ma che quest’ultima deve racchiude in sé il pensiero rendendolo manifesto allo spettatore”.
“Per far comprendere questo concetto – continua Gianluca Ranzi – LeWitt è ricorso all’esempio della musica: essa, come la udiamo, è il risultato finale, mentre le note che la producono esistono solo per essere lette da chi le può comprendere e utilizzare, cioè i musicisti che eseguono il pezzo musicale indicato sulla partitura. Il pubblico invece ascolterà la musica che nasce dall’esecuzione ma sarà all’oscuro delle unità minime che la sovrintendono, così come delle modalità del loro armonico relazionarsi le une con le altre”.

Le opere presenti in mostra ricostruiscono di fatto l’evoluzione creativa di LeWitt, da alcuni esempi di quella rigorosa e schematica moltiplicazione di un cubo di base (Cube Without a Cube, 1982, matita su carta, 56×56 cm) o di un rettangolo (Folded Paper, 1971, carta piegata, 15×30 cm) che svelano in bianco e nero il principio delle sue note sculture a griglie modulari, fino alle grandi figure di solidi geometrici irregolari che anche nell’uso astratto e matematico del colore si ricollegano alla pittura di Piero della Francesca (Geometric Figure, 1997, gouache su carta, 152,9×173 cm), per finire con molti significativi esempi delle famose linee colorate ondulate o aggrovigliate che sono alla base di importanti interventi pubblici come quelli per l’Ambasciata Americana alla Porta di Brandeburgo a Berlino o per la Metropolitana di Napoli.Continue Reading..