Tag: Galleria 33

04
Apr

Luca Cacioli. [A – stràt – to]

In occasione del quarto anniversario, Galleria 33 presenta [A – stràt – to], personale di Luca Cacioli, a cura di Tiziana Tommei. Un progetto inedito quello proposto, in cui le componenti proprie della fotografia dell’autore, quali equilibrio, misura e sintesi, trovano piena forma nella pura astrazione. Un’indagine lenticolare, che registra dettagli, texture e struttura di superfici, oggetti e materiali.

Testo critico
Essenzialità, rigore, minimalismo, geometria e astrazione. I progetti fotografici realizzati da Luca Cacioli negli anni, sebbene ben distinti tra loro, sono accomunati dalla medesima matrice di ricerca: la forma. Quest’ultima non intesa quale mezzo, ossia con valore strumentale rispetto all’espressione, ma come espressione essa stessa. Dal primo lavoro, “Confini”, passando per “Surrealismo”, “Notturni Urbani” e “Details”, fino a giungere a “La nuvola” e ad “[A – stràt –to]” quello che emerge è un percorso ordinato, che muove in sottrazione. Questo, non tanto in termini quantitativi, quanto di restituzione di elementi che, seppur realistici, si staccano dalla realtà intesa come trasposizione diretta di un oggetto di natura. Il fotografo, infatti, non solo è attratto in misura crescente da elementi architettonico-urbanistici e industriali, ma li osserva e li viviseziona, lasciando emergere il lato meno realistico e figurativo, e quindi, più propriamente, astratto. In “[A – stràt – to]” non è più tanto interessato a comporre un’immagine ben costruita (Surrealismo) o a tagliare spazi e strutture, valorizzandone le geometrie (Notturni urbani) e neanche a focalizzarsi su dettagli specifici (Details), quanto a mettere in luce ogni dettaglio di superficie, rendendo protagonista la texture. Il colore, la materia e le linee, insieme alle componenti fisiche che costituiscono quest’ultima, fino ad ogni millimetrico elemento, vengono fissati in luogo dell’oggetto fotografato. Questo progetto è imperniato sull’osservazione e registrazione chimico-chirurgica dell’oggetto scelto, che perde in virtù dello scatto stesso lo status si soggetto. Procedendo a ritroso fino a “Confini”, non si può non soffermarsi su talune associazioni: l’elemento antropico ed artificiale, che al tempo si frapponeva tra l’uomo e il paesaggio, oggi viene eletto ad assoluto protagonista della scena, fino ad essere indagato nella sua consistenza e area di sviluppo. Singolare è la libertà di lettura e, di conseguenza, d’immaginazione, che il fotografo lascia al riguardante attraverso questa serie: le coordinate di orientamento, al pari dell’immagine evocata, sono ad appannaggio dell’osservatore. Forme piene, che colmano lo sguardo, attraverso la negazione dell’inessenziale, come della diretta e immediata riconoscibilità della figura ripresa. Hanno un perimetro fisico su carta, ma non hanno confini in sé: si estendono oltre la cornice, si espandono. Il movimento è per questo doppio: in profondità nella materia, multidirezionale sulla superficie. Il processo che determinano non attiene a qualsivoglia interrogativi sull’entità dell’oggetto, ma induce piuttosto ad un atteggiamento di contemplazione prolungata.Continue Reading..

16
Nov

Flavia Bucci, Enrico Fico. NYCTOPHILIA

a cura di Tiziana Tommei

Inaugurazione venerdì 18 novembre 2016
Dalle ore 19.00 alle ore 21.00

In mostra da venerdì 18 novembre a domenica 18 dicembre 2016

Da martedì a sabato, 11.00 – 13.00 / 16.30 – 19.30
o su appuntamento

Galleria 33 presenta la doppia personale di Flavia Bucci ed Enrico Fico, Nyctophilia a cura di Tiziana Tommei.

Il progetto espositivo muove dalla volontà di mettere in dialogo i progetti personali di Flavia Bucci ed Enrico Fico: Esercizi d’igiene e À chacun son enfer. Nel primo caso si presenta una selezione d’archivio dell’artista abruzzese: una raccolta molto vasta, che conta un totale di 3.761 fotografie di oggetti domestici, ottenute mediante l’uso dello scanner. Un “esercizio” che ha impegnato Flavia Bucci nel corso di un anno e che ha visto successivamente la stampa su carta dell’immagine digitalizzata. In ultima istanza, è avvenuta la messa a punto di un sistema di presentazione delle opere in ordine al quale la scelta della cornice e il rapporto in termini di formato tra opera e immagine costituiscono elementi contingenti il lavoro sul piano concettuale prima ancora che materiale. Fotografia analogica e poesia visiva sono invece le componenti delle opere di Enrico Fico; in esse il paesaggio assume una veste cerebrale e solo di riflesso velatamente emotiva. Una natura matrigna, pungente e oscura, che viene colmata da un mondo tutto interiore, fino a divenire cassa di risonanza soggettiva. L’orizzonte viene frammentato, chiuso e annullato; gli alberi capovolti e le linee sinuose tagliate. Una voce contro un certo modo d’intendere la fotografia, in antitesi al quale egli sceglie di rappresentare il paesaggio in analogico per poi scomporlo, rovesciarlo, sporcarlo e subordinarlo alle parole. Entrambi seguono tempi ampi di metabolizzazione dei progetti – ambedue sono dispiegati nel corso di tre anni (2014-16) – e sono accomunati da un’inclinazione all’analisi scientifica del sé, mediante l’uso di ciò che sta all’esterno, in particolare luoghi e cose del mondo inanimato comunemente intesi come rassicuranti, quali la dimensione domestica e il paesaggio naturale. Non osannano l’estetica, non seguono canoni, ma cercano la verità con la consapevolezza che per avvicinarsi a questa occorra andare a fondo, in profondità, dove c’è oscurità e silenzio (come nella notte). In À chacun son enfer Enrico Fico tinge di nero la natura, disarticolandola senza in realtà toccarla. Ricorrendo ad una metafora, è come se l’autore avesse osservato il mondo attraverso uno specchio, per poi infrangere quest’ultimo a terra. Una superficie riflettente perché, se l’immagine impressa è quella di un spazio fisico, l’uso che se ne fa è quello di un luogo interiore, mentale e viscerale. Scatti realizzati nel 2014, ma letti, interpretati e decodificati nei due anni successivi attraverso la memoria e, infine, tradotti in versi. Il testo non risulta mai didascalico rispetto all’immagine, perché la poesia è più forte di ciò che si osserva. Sono opere che impongono di essere lette, non osservate: richiedono una chiave di lettura e in questo senso funzionano come un pentagramma. L’artista non vuole fornire soluzioni, perché egli stesso cerca “le risposte”. Questo lavoro deve essere ragionato in almeno due direzioni: il rapporto con la fotografia e quello tra immagine e testo. In riferimento al primo questi dichiara il rifiuto verso un uso realistico, oggettivo ed estetico del mezzo fotografico; per la seconda invece, egli sonda e investiga le possibili fusioni tra il verso e l’immagine. Quest’ultima non è mai descrittiva, ma sempre veicolo di concetti dichiaratamente non immediatamente intelligibili. Sono opere fredde attraverso le quali chi crea ragiona su di sé, utilizzando un soggetto classico, esterno ed aperto, per mettere in piedi un discorso fuori dai canoni, psichico e intellettuale, intimo e spirituale.

3.761 oggetti accumulati come “i frutti di una quotidiana apocalisse” e passati allo scanner in “una sorta di rituale”, per adempiere e condurre a termine Esercizi d’igiene. Flavia Bucci sottopone all’esame della macchina tutta la sua quotidianità materiale, ciò che la circonda, ma soprattutto quello che compone la sua dimensione domestica, intima, personale. Radiografie più che fotografie: opere di carattere scientifico e più specificatamente medico. Viviseziona la vita, quella vera, quella quotidiana, e lo fa con abnegazione, metodo e disciplina. Quello che la guida è un desiderio spasmodico di controllo, per giungere a ciò che lei chiama, citando il titolo, “igiene”. In realtà si tratta di “mettere da parte con la certezza di non aver tralasciato nulla”, ossia di risolvere, affrontare e superare paure, insicurezze e angosce. Quando si è estremamente mentali, infatti, si rischia di demonizzare la materia, il suo peso specifico, il volume e la fisicità. In linea con ciò, gli oggetti tridimensionali che occupano lo spazio fisico dell’artista vengono da essa ridotti in immagini bidimensionali, schiacciati ed esautorati da ogni possibile funzione e significato. Vengono archiviati, numerati, conservati e riproposti in forma di surrogati. Chiusi in teche fatte di cornici di riuso, sigillate con colla e carta; messi sotto vetro dopo essere state osservate al microscopio, analizzate ed etichettate. Oggetti che assumono le sembianze di entità macroscopiche, feticci rivelati dalla luce dello scanner, immersi e relegati in un fondo grigio, scuro e profondo.Continue Reading..

06
Nov

Alessandro Bernardini. Fausti

a cura di Tiziana Tommei

Inaugurazione venerdì 11 novembre 2016

Dalle ore 19.00 alle ore 21.00

Secret Gallery di Luciferi fine art LAB in partnership con Galleria 33 presenta la personale di Alessandro Bernardini, Fausti. La mostra prevede un corpus di cinquanta opere realizzate tra il 2012 e il 2016, mediante assemblage, collage e tecnica mista su tela. Il progetto espositivo, curato da Tiziana Tommei, ripercorre la sua ricerca: muove dalle prime sperimentazioni del 2012-13 – in primis “Tela sei giocata” (2012) – passando per la serie dei cementi su tela (“Tela muro”, 2014 – in progress), per giungere ai più recenti catrami del 2016 e ad alcune creazioni inedite. La versatilità e la vena sperimentatrice di A. B. sfocia per l’occasione anche nella messa appunto di un profumo “IdeAle”, un prodotto dal design minimale, proposto in edizione limitata.

Gettare e stendere cemento o catrame sopra una tela bianca non è un gioco. Soprattutto se su quella tela è già stata scritta una storia. Infatti, nella migliore delle ipotesi sotto la coltre di materia c’è una superficie intonsa, mentre in altri casi, come in coincidenza del primo momento con il quale ha preso avvio il progetto aperto della serie dei cementi, c’è “un pieno”. A venire ricoperto, e dunque celato, può essere un assemblage come un testo, ma in ogni caso è una realtà in essere. La tela viene incisa, forata, tagliata, frammentata e sommersa. Raramente il risultato è ottenuto per sottrazione, e quindi asportazione di tessuto; più volte si determina infatti per addizione, e dunque assemblaggio di oggetti o stesura di materia; infine, ancora più di frequente, per giustapposizione di ambedue le soluzioni. Nel dittico “Tela involti” l’elemento della testa pare diverso nelle due versioni. In realtà è il medesimo che, nel bianco ci appare sospeso ne vuoto, mentre nel nero subissato dal catrame. Lo status di frammento, il soggetto umano femminile, la posizione entro l’area della tela e il taglio del corpo plastico rappresentano già dei significanti rispetto ai quali la colata di catrame arriva solo in parte e in seconda istanza. Mentre viene apertamente dichiarato un desiderio di leggerezza, si determina una forbice tra ricerca in chiave ludica, unita alla messa in atto di espedienti capaci di innescare una subitanea ilarità, ed esigenza di dare voce, spazio e forma a qualcosa di molto serio. I giochi di parole dei titoli, sono appunto dei giochi che, al pari dell’immediatezza tecnica non devono trarre in inganno. Se Alessandro Bernardini gioca, allora dobbiamo ricordarci che, per i bambini, il gioco è una cosa molto seria.
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21
Set

Roberta Busato. Sablier

a cura di Tiziana Tommei

OPENING 23 settembre 19h00
GALLERIA 33 via garibaldi 33 Arezzo

in mostra fino al 23 ottobre 2016

Galleria 33 presenta Sablier, personale di Roberta Busato a cura di Tiziana Tommei, in mostra dal 23 settembre al 23 ottobre 2016 nella sede di via Garibaldi 33 ad Arezzo.
Dopo aver inaugurato la nuova stagione espositiva con il progetto Pas-tout. Une sélection, una selezione di lavori di artisti trattati dalla galleria, la Trentatré si apre per la prima volta alla scultura. Protagonista è l’opera di Roberta Busato. In mostra opere inedite: forme plastico-architettoniche in terra cruda e paglia, nelle quali domina la materia e, più specificatamente, il processo creativo. Volti e maschere, in una galleria di autoritratti apparentemente fuori dal tempo e dalla storia. Frammenti lirici, sospesi e silenziosi, carichi di ascendenze e rimandi al passato, ma anche saldamente calate nel contemporaneo e, per loro stessa natura, perennemente in divenire.

Testo critico
La materia, per quanto profondamente identificativa dell’opera di Roberta Busato, non deve essere assunta a principale chiave interpretativa del suo lavoro. L’impostazione architettonica, la rappresentazione del sé, i rimandi all’antico e il non-finito rappresentano aspetti caratterizzanti la sua produzione, che ne permettono una lettura puntuale e corretta, senza però sondarne l’essenza.
Il nucleo, infatti, è il processo.
Solida, compatta e lucida fino a mimare la pietra, la terra cruda per sua stessa composizione “sfarina”, ossia torna nuovamente allo stato primigenio, la sabbia. Tecnicamente l’iter muove dal mattone, che viene ridotto ad argilla, per essere plasmato e assumere nuova forma. Quest’ultima germina e al contempo resta ancorata ai moduli della struttura architettonica che l’ha generata; assume nei tratti quelli di chi la modella e viene, in ultima istanza, innalzata su basamenti di ferro o di pietra. L’assenza della fase terminale di “chiusura” del processo, infine, la consegna nuda al tempo, che la porta così a rinnovarsi ancora in “cenere”. La dimensione temporale è dunque la componente più importante: come in una clessidra, la sabbia si muove da uno stato ad un altro, per poi tornare al primo. Per questo esse devono essere intese quali opere aperte e inserite nel flusso continuo del tempo.
Me, immagine simbolo della mostra, dichiara esplicitamente nel titolo il tentativo di autorappresentazione dell’autrice, aspetto questo che sottende in toto la “collezione dei volti”. In quest’opera l’equilibrio tra forma, struttura e fondamenta assume rapporti insoliti. La scultura è adagiata su di un parallelepipedo in ferro, presenta la radice strutturale in terra cruda ridotta ai minimi termini, nonché un gap misurato tra trattamento di superficie del volto e punto di unione tra questo e il mattone. La rilevanza, sia fisica che simbolica, della linea di demarcazione, tanto evidente e definita nei blocchi strutturali primari – soprattutto negli spigoli – viene rimarcata, ma con un profilo irregolare e scabro, nelle estremità del perimetro del modellato, a contatto con gli elementi pseudo-architettonici (i mattoni). Ad una fase successiva, rappresentata da Lovers, è la pietra grezza, porosa e non levigata a costituire il prolungamento diretto delle “maschere”; ed è sempre il tufo a divenire surrogato della base in ferro in Tower. In queste, e in modo ancora più esemplificativo in Apnea e in The Climber, si dispiega un’inedita orogenesi: la paglia non è più trattenuta, ma libera dalla terra, aggettante ed espansa fino a prevalere in taluni angoli e confini sulla massa solida e definita. I più recenti lavori presentano la forma pura, sospesa, libera dall’ossatura originaria. Nell’ultima serie About the concept of the end i moduli definiti e spigolosi delle prime opere lasciano spazio all’assenza. La plastica, il volume e il peso sono adesso totalmente delegati alla forma. Non è più necessario saldare il nuovo all’entità madre che l’ha generato, cosicché il modellato si rivela nella sua totalità e interezza. In luogo della costruzione viene così mostrato il risultato di un atto di sottrazione: l’artista scava nella materia, lasciando a vista il tergo e abbandonando ogni sorta di copertura o rinforzo.Continue Reading..

24
Feb

Pamela Grigiante. A different way to make love

A CURA DI TIZIANA TOMMEI

26 FEBBRAIO – 26 MARZO 2016
INAUGURAZIONE: VENERDÌ 26 FEBBRAIO, 19.00
GALLERIA 33 VIA GARIBALDI 33 AREZZO

Dal 26 febbraio al 26 marzo Galleria 33 presenta la personale di Pamela Grigiante “A different way to make love”.
Il titolo della mostra è tratto da un’opera dell’artista, “Dinner is an unconventional way to make love”, una tecnica mista su carta della collezione nata nel 2014 su commissione di Feltrinelli, “Domestic Love”. Il progetto espositivo propone un’indagine della più recente produzione dell’artista vicentina, presentando una selezione dei lavori su carta, dai progetti “Private Papers” (2012-14) e il già citato “Domestic Love”, oltre alle sculto-installazioni “Private Boxes”, serie della quale si presentano per l’occasione quattro opere inedite.
La mostra è accompagnata da testi critici di Francesco Mutti e Tiziana Tommei.

È del tutto normale assegnare alla produzione di un artista quel significato assolutamente intimo e personale che non può prescindere dalla sua esperienza di vita. In quanto narrazione molto spesso didascalica o moraleggiante, l’Arte stessa ha incentivato questo tipo di analisi favorendo la comprensione dell’opera attraverso la conoscenza dell’autore e delle sue esperienze a cui idealmente di volta in volta sostituirsi o immedesimarsi: una comprensione direttamente proporzionale dunque che sviluppa la propria indagine critica sulla base di quella storica e umana, in un continuo e reciproco scambio che accompagna lo studioso, l’amante, l’appassionato o il semplice fortuito fruitore. Riferire però una produzione totalmente al vissuto di chi l’ha prodotta; e limitare l’area di interesse dei messaggi veicolati a quel solo ed unico ambito, fa correre il rischio di considerare ogni esperienza come fine a se stessa, venendo meno lo scopo ultimo dell’arte che è comunicazione nel senso più allargato del termine. Solo nel caso in cui il messaggio trasmesso sia allo stesso tempo esperienza personale ed indagine sociale da applicare per intero alla comunità di cui fa parte, allora si potrà parlare di analisi completa ed esauriente.
Possiede questo carattere la poliedrica artista Pamela Grigiante, in grado – con i suoi collages e le sue sculture-volume – di rappresentare visceralmente la nostra intimità più cara in un procedere verticale che è continua scoperta, feroce rivelazione. Legato alle condizioni di un quotidiano intensamente vissuto, il suo è un percorso artistico che pare superficialmente esaurire il proprio potenziale nell’indagine di situazioni contestuali a tale esperienza di vita, sezionata, analizzata e dunque restituita in forme semplici e pregresse di segno. Eppure, laddove si voglia considerare erroneamente l’immediato ed epidermico tratto come incapacità o puerile gestualità, si dovrà invece sommare una scaltra e violentissima critica al tessuto culturale che proprio il quotidiano – inteso in ogni suo singolo aspetto, dal cibo agli affetti, dalle tensioni emotive alle pulsioni sessuali, dai rapporti col prossimo a quello con la propria natura – porta con sé. Specchio reale di una società sull’orlo del baratro, le opere della Grigiante rivelano il senso della vita con ferocia e puntualità, celando dietro un’evidente genuinità ora intellettuale ora tecnica la totale padronanza dei media: nei collages, nelle sculture, nelle carte e, soprattutto, nelle ficcanti inserzioni letterarie di chiara matrice visivo-poetica, ella dunque recupera al proprio vissuto un monito personale e una regola generale, restituendo con gelida intuizione ciò che pochi altri osano dire. L’analisi emozionale della prima ora, già ampiamente assimilata e metabolizzata, si fa dunque più distante: a ciò la Grigiante sostituisce la sintesi di una comune esistenza, raccontata con fredda evidenza attraverso un ingannevole e innocente apparire. (Francesco Mutti)Continue Reading..

19
Nov

Sandro del Pistoia. Future

SANDRO DEL PISTOIA
FUTURE
Sculpure/ Installation/ Photography

INAUGURAZIONE
venerdì 20 novembre 2015
dalle ore 19.00 alle ore 21.00

In mostra dal 20 novembre al 12 dicembre 2015
da martedì a sabato: 11.00 – 13.00 | 16.30 – 19.30
o su appuntamento

Galleria 33
via garibaldi 33 – 52100 Arezzo
+39 3398438565
info@galleria33.it

SANDRO DEL PISTOIA
FUTURE

Inaugura venerdì 20 novembre, dalle ore 19.00, presso Galleria 33 in via Garibaldi 33 ad Arezzo la personale di Sandro del Pistoia, Future – sculpure, installation, photography.
La mostra, a cura di Tiziana Tommei, propone una selezione di opere: dal grande formato di “Around the body” scultura – installazione di 3 metri di altezza per 3 metri di diametro, alle sculture di medio e piccolo formato, “Women” e “Untitled”, alle fotografie “Dream” e “Air 02”. Le sculture risalgono al 2013 e 2014 e sono composte da listelli di legno di noce uniti da cerniere in pelle. Le opere fotografiche (2006, 2007) documentano performance in cui l’artista imprigiona l’aria in enormi forme di plastica.

TESTO CRITICO
Entelechia. Secondo Aristotele ogni organismo si sviluppa e si evolve in base ad una finalità interiore. Realizza se stesso in base ad una meta contenuta già in sé, in potenza, e lo fa secondo codici interni. La materia torna spirito, in armonia con le leggi della Natura, con l’ordine del Creato, in quanto parte di quella che i platonici indicavano come “anima del mondo”. Sandro del Pistoia studia i materiali, sperimenta l’ordine della dimensione fenomenica e della scienza, ma la sua ricerca non riguarda la realtà fisica. Usa la materia per disegnare l’invisibile. E ci riesce! Quello che noi vediamo sono forme fatte di assenza di sostanza visibile, comprese dentro e fuori strutture architettoniche dalle unità fondamentali potenzialmente infinite. Lo spazio, compreso dalle molecole a celle esagonali disposte su modello del grafene, assume la conformazione conferita per mezzo del legame in continuum dei moduli geometrici. Il rapporto osmotico che s’instaura tra l’interno e l’esterno della membrana permeabile, ora di legno e pelle ora di metallo ora foderata di seta, trasmette in maniera palpabile un equilibrio profondo, univoco e mai frammentato. L’aria assume una dimensione nuova: prende forma, peso e volume. Quello dell’artista è un dialogo aperto ed incessante con la Natura, esteso a tutte le sue componenti, siano esse antropomorfe, amorfe o anamorfe. Scava nella materia, addirittura negli oggetti, fino a ridurre o a trasporre tutto in sintesi, in schemi in cui ciascun elemento risulta perfettamente stabile in quanto parte di un insieme più complesso. Quattro segmenti non fanno un quadrato: per costruire una figura geometrica e significativa è indispensabile conferirle una direzione, un orientamento e una struttura. Occorre darle una specificità, che in questo caso è arte. Così, la ricerca e la costruzione – intesa come ricreazione – permettono di svuotare la realtà di tutto ciò che è superfluo, di andare in profondità, di giungere all’essenza, di tornare allo spirito.Continue Reading..

16
Ott

Hemmes. Monochrome

Galleria 33 presenta nello spazio di via Garibaldi 33 ad Arezzo la personale “Monochrome” dedicata ad un maestro dell’arte informale, Hemmes.
Formatosi dapprima negli anni dello Spazialismo e a seguire dell’Arte Povera e del Nouveau Réalisme, l’artista di origine livornese ha sviluppato negli anni un suo linguaggio identificativo, improntato su di una ricerca nutrita di materia e colore. Un iter complesso, che parte dalla riflessione sul dato fenomenico per giungere a traslarlo nell’assoluta astrazione, un fare artistico di forte originalità e rara potenza espressiva. Attivo in Italia e all’estero, nel corso della sua lunga carriera è stato presentato nelle più importanti fiere di settore, ha esposto in prestigiosi spazi istituzionali e le sue opere fanno parte di collezioni di grande rilievo.

La mostra
La mostra, a cura di Tiziana Tommei, propone un taglio preciso, enucleando dal corpus dell’artista opere monocromatiche nelle quali la materia viene governata con soluzioni che annullano il confine tra pittura e scultura. Da un lato il colore, unico, forte e puro; dall’altro la materia, modellata, sovrapposta e aggettante: “Senza titolo” di medio e grande formato in cui i pigmenti su carta su multistrato virano dalle trasparenze del ghiaccio delle opere del 2003, ai “blu Klein” del 2005 fino ai “rossi” del 2009.
Non si vuole offrire un campione rappresentativo di un percorso tanto ampio e complesso – per questo è già in programma la grande retrospettiva che il Museo Piaggio dedicherà all’artista nel 2016 – ma fare luce su una parte della produzione del livornese che conta pochi e per questo rari esemplari nei quali è pienamente manifesta la specificità del suo segno.

Testo critico
Com’è fatto?
Pittura ad olio e carta su tela. Materia applicata con successive sovrapposizioni, strappata e dipinta.
Pura arte informale.
Questa è una risposta. Informazioni corrette certo, ma non sufficienti. Manca il nòcciolo del lavoro. Continue Reading..