Camera d’Arte

30
Mag

Roberto Ghezzi | The Greenland Project, lo scioglimento dei ghiacci tra arte, scienza e sostenibilità

Il paesaggio naturale è da sempre il campo di ricerca artistico di Roberto Ghezzi. Dapprima indagato attraverso la pura pittura, negli ultimi anni l’artista toscano, affascinato dagli ambienti e dalle loro specifiche peculiarità, inizia ad operare sempre più immergendosi in essi e tentando di restituirne le specificità e l’essenza. Nascono così agli inizi del Duemila le Naturografie, tele letteralmente scritte dalla natura che l’artista lascia in terra o acqua e ritira nel momento in cui ritiene i sedimenti qui trasferitesi ne restituiscano in qualche modo il sembiante e il DNA. Si tratta di lavori che richiedono a Ghezzi lunghi tempi di realizzazione e portano l’artista a praticare e vivere l’ambiente naturale per lunghi periodi, sondandone caratteristiche, morfologie e divenendone empiricamente un ottimo conoscitore. A questa ricerca, a matrice pittorico/estetica, si affianca quindi, sempre più, anche un interesse scientifico tale da indurre l’artista a collaborare sovente con biologi e studiosi ed enti che si occupano di rilevare l’impatto che l’uomo ha sulla natura stessa.

In due decenni Ghezzi ha realizzato installazioni e ricerche in molti luoghi nazionali e internazionali, legando il suo lavoro a studi sull’ecosistema e sulla biologia in parchi e riserve naturali di tutti i continenti (Alaska, Islanda, Sud Africa, Tunisia, Norvegia, Patagonia, Croazia). In Italia ha realizzato numerosi progetti di ricerca in ogni regione e tipologia di ambiente (Toscana, Emilia Romagna, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Umbria).

Nel caso della Groenlandia, la residenza – della durata di circa un mese presso la Red House di Tasiilaq – sarà funzionale a Ghezzi per tentare di restituire, in chiave artistica, il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai. A tal fine, questa volta, per trascrivere artisticamente su supporto tale fenomeno, Ghezzi ipotizza di usare la cianotipia, una particolare tecnica che prevede l’uso di carte fotosensibilizzate per rilevare il rapido mutamento dello spessore del ghiaccio.

Da ciò seguirà un interessante dialogo, sia preliminare, che successivo alla spedizione, tra l’artista e i ricercatori dell’Istituto di Scienze Polari del CNR. Artista e studiosi, infatti, intrecciando i reciproci sguardi e approcci, offriranno inedite chiavi di lettura dei fenomeni naturali contribuendo alla divulgazione e conoscenza, attraverso questa proficua collaborazione multidisciplinare, di suggestioni e rivelazioni su uno dei più problematici fenomeni naturali della nostra epoca.

The Greenland project di Ghezzi sarà incentrato pertanto sull’utilizzo della cianotipia a contatto che non utilizzerà tessuti ma una speciale carta fatta a mano secondo un antico procedimento, per accogliere i segni dello scioglimento del ghiaccio. L’artista, dopo un’accurata analisi dei luoghi più idonei – effettuata preventivamente sulle mappe e successivamente in loco – grazie al supporto di Red House, realizzerà delle cianotipie del ghiaccio in scioglimento nella zona di Tasiilaq sulla costa orientale della Groenlandia. La cianotipia è un’antica tecnica fotografica sviluppata dal fotografo e chimico inglese, John Herschel tra il 1839 e il 1842, che sfrutta la reazione di alcuni sali alla luce ultravioletta. Inserendo la carta fotosensibilizzata mediante sali al di sotto del ghiaccio, in una zona di confine dove il ghiaccio è in scioglimento nel mese di giugno, l’artista otterrà delle istantanee del fenomeno del suddetto cambiamento di stato.

L’obiettivo del progetto è quello di lavorare nello stesso punto per circa 25 giorni, realizzando cianotipie della stessa zona al fine di “fotografare” il fenomeno della liquefazione  e, quindi. dell’arretramento del ghiaccio -giorno per giorno- in un determinato luogo.

In tal modo, l’artista ipotizza di produrre un’immagine emblematica del fenomeno del ghiacciaio in arretramento (e della velocità con cui tale processo avviene), con quell’estetica che connota da anni la sua “pittura di paesaggio”. A tale lavoro,  per completezza e nell’intento di fornire alla ricerca artistica un supporto scientifico secondo la consueta logica che alimenta il lavoro di Ghezzi, sarà accompagnato un testo del Dott. Biagio Di Mauro del CNR – ISP sullo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia (ad es. sulla velocità dello stesso, sul cambiamento negli anni del fenomeno,  sulle possibili cause e conseguenze, ecc..).

All’esito della residenza artistica le creazioni e il testo scientifico (se del caso, accompagnato anche da visualizzazioni grafiche), saranno raccontate, pubblicate ed esposte attraverso i social, i media sia digitali che cartacei, la televisione e una mostra finale che raccoglierà tutta l’esperienza.

L’intera residenza artistica di Roberto Ghezzi sarà ad impatto neutro grazie al contributo di Phoresta Onlus che calcolerà e poi compenserà mediante la piantumazione di alberi tutte le emissioni di CO2 del progetto.

The Greenland Project 

lo scioglimento dei ghiacci tra arte, scienza e sostenibilità

Un progetto dell’artista Roberto Ghezzi

a cura di Mara Predicatori

in collaborazione con Biagio Di Mauro del CNR – ISP (Istituto di Scienze Polari)

con il supporto di The Red House di Robert Peroni e Phoresta Onlus e il contributo di Cartiera Enrico Magnani Pescia

Dal 15 giugno al 10 luglio 2022

Comunicazione e media relations
Amalia Di Lanno +39 3337820768 – info@amaliadilanno.com

Immagine in evidenza: Installazione per NATUROGRAFIE, Isole Lofoten, Norway, 2019. Courtesy the artist

10
Mag

Last Whispers di Lena Herzog

Last Whispers: Immersive Oratorio for Vanishing Voices, Collapsing Universes and a Falling Tree di Lena Herzog, fotografa e artista americana, è un progetto incentrato sulla tematica dell’estinzione di massa delle lingue.

L’iniziativa, promossa dall’UNESCO, è a cura di Silvia Burini, Maria Gatti Racah, Giulia Gelmi, Anastasia Kozachenko-Stravinsky (Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali – DFBC).

Ogni due settimane il mondo perde una lingua. A una velocità inedita, maggiore di quella dell’estinzione di alcune specie, la nostra diversità linguistica – forse il mezzo più importante della conoscenza di sé – si sta erodendo.

Ad oggi, delle 7.000 lingue superstiti sulla Terra, solo 30 sono usate dalla maggioranza della popolazione. Si stima che almeno la metà delle lingue attualmente parlate sarà estinta entro la fine del secolo. Altre fonti prevedono tempi di sparizione ancor più rapidi. 

Nel tentativo di sensibilizzare in ordine a questo problema, l’Assemblea Generale dell’ONU e l’UNESCO hanno dichiarato il 2022-2032 “Decennio Internazionale delle Lingue Indigene”.

Last Whispers è una composizione sonora spazializzata che unisce discorsi, canzoni, incantesimi e canti rituali con suoni e immagini della natura e frequenze provenienti dallo spazio. Il risultato è un lavoro corale, profondamente moderno e tradizionale al contempo, dedicato al tema dell’estinzione delle lingue su scala globale.

Quest’estinzione è, per definizione, silenziosa, perché è proprio il silenzio la forma che essa assume. Last Whispers dà voce a ciò che è stato ridotto al silenzio: mentre affoghiamo nel rumore delle nostre voci – espressione dei sistemi culturali e linguistici dominanti – siamo circondati da uno sconfinato oceano di silenzio.

Il panorama immersivo di Last Whispers è un’invocazione alle lingue estinte e un incantesimo per quelle a rischio.

Con il generoso sostegno della Jim & Marilyn Simons Foundation, Herzog ha selezionato registrazioni provenienti dall’Endangered Languages Documentation Programme della SOAS University di Londra (ora conservate alla Berlin-Brandenburg Academy of Sciences and Humanities), dalla Smithsonian Institution, dal progetto “Rosetta” e da oltre una dozzina tra i più grandi archivi linguistici del mondo. 

Lena Herzog è una fotografa e un’artista americana, multidisciplinare e concettuale, di origini russe che vive a Los Angeles. Il suo lavoro, riconosciuto a livello internazionale, affronta i temi della ritualità e del gesto, della perdita e della dislocazione. Il suo approccio nasce dall’intersezione tra arte e scienza, intese sia come oggetto di studio che come processo. Nei lavori a stampa Herzog utilizza tecniche fotografiche tradizionali, contemporanee e sperimentali, mentre per i progetti multimediali l’artista impiega tecnologie all’avanguardia nel suono, nell’installazione immersiva e nella realtà virtuale.

La sensibilità artistica di Herzog nell’affrontare le tematiche connesse alla sostenibilità globale, nonché la sua minuziosa e strutturata ricerca documentaria, rendono particolarmente significativa la presentazione del progetto Last Whispers al pubblico veneziano e internazionale.

Last Whispers sarà presentato all’Università Ca’ Foscari Venezia da aprile a settembre 2022, in tre momenti distinti:

  • Una versione immersiva in realtà virtuale potrà essere fruita individualmente, con visori e cuffie, dal 21 aprile al 30 luglio nella Tesa 1 di Ca’ Foscari Zattere – CFZ. Ogni visitatore sarà dotato di un set, che verrà sanificato dopo ogni uso.
  • Un’installazione site-specific di immagini tratte dal progetto sarà esposta nel cortile principale di Ca’ Foscari e aperta al pubblico dal 21 aprile al 30 settembre.
  • Una proiezione audiovisiva del lavoro, su grande schermo, sarà presentata nel cortile centrale di Ca’ Foscari come evento principale dell’edizione di Art Night 2022, che si terrà il 18 giugno.

 

ART NIGHT: LAST WHISPERS – PROIEZIONE AV
18 giugno 2022
apertura ore 18:00 / proiezione ore 21:00
Cortile centrale di Ca’ Foscari
Palazzo Ca’ Giustinian
Dorsoduro 3246

FG COMUNICAZIONE – Venezia 
Davide Federici 
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info@fg-comunicazione.it
+39 331 5265149
www.fg-comunicazione.it

Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo
Area Comunicazione e Promozione Istituzionale e Culturale
Università Ca’ Foscari Venezia
T 041 234 8368
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15
Mar

ICONOPLAST, progetto transdisciplinare di Sara Bonaventura ed Elisa Muliere

È importante sapere quali storie creano mondi,
quali mondi creano storie”.
Donna Haraway

ICONOPLAST è un progetto transdisciplinare delle artiste Sara Bonaventura ed Elisa Muliere, in collaborazione con Madelon Vriesendorp, artista olandese e co-fondatrice dello studio OMA, a cura di Adiacenze e Anna Rosellini. ICONOPLAST è il racconto di un mondo e di un tempo altro, una speculazione sul futuro del materiale più iconico del nostro tempo: la plastica. A partire dall’ispirazione del lavoro di Vriesendorp, Bonaventura e Muliere si inoltrano nell’immaginazione di uno scenario post-umano, in cui la contaminazione e la mescolanza tra organico e artificiale sono i principi generativi di una nuova specie che si compone e si nutre di scarti di plastica. È un futuro senza esseri umani. Modalità alternative di collaborazione tra le specie e i rifiuti dell’Antropocene sono sorte in una naturale propensione a ripopolare il pianeta. È un futuro di plastica. Non più materia inerte, oggetto di scena dell’attività umana, ma presupposto creativo di nuova vita, soggetto attivo, corpo vivente e partecipe delle dinamiche terrestri.

Nello stadio germinale di questa nuova era, i batteri hanno riconvertito le microplastiche presenti nelle acque del pianeta in petrolio, per poi crescere, proliferare e svilupparsi in simbiosi con questo in organismi sintetici. La vita scaturisce quindi da un ambiente liquido, come l’originario “fluido cosmico nel cui seno tutto comunica, tutto si tocca e tutto si estende” (Emanuele Coccia). È lo scenario dell’opera di Sara Bonaventura, in cui l’artista narra la genesi di questa nuova specie attraverso un video che oscilla tra il documentario scientifico e il racconto mitico, archetipico, dell’evoluzione della vita sulla Terra a partire da una visione microscopica. È forse per quella “sensuale curiosità molecolare” o per quell’“appetito insaziabile” (Donna Haraway) proprio di tutti i viventi, che le comunità microbiche marine si sono unite in un intreccio simbiotico alle microplastiche, trovando del potenziale vitale là dove questo sembrava essersi esaurito. “Le creature si penetrano a vicenda”, scrive la Haraway, “si riavvolgono l’una attorno all’altra e l’una attraverso l’altra, si mangiano, fanno indigestione, si digeriscono in parte e in parte si assimilano a vicenda, e così definiscono degli ordini simpoietici altrimenti noti come cellule, organismi e assemblaggi ecologici”. Allo stesso modo, nell’ICONOPLAST di Bonaventura i microrganismi sono tutti tesi verso una ricerca di intimità e complicità con altre specie e oggetti: a guidarli è la loro attitudine all’interconnessione, a creare spazi di comunicazione e parentele (kin) impreviste.

Dalla dimensione cellulare e informe, le creature di ICONOPLAST emergono dal loro caldo ‘brodo primordiale’ per occupare il pianeta in un inarrestabile slancio vitale. Sono le sculture di Elisa Muliere, che nella sua personale narrazione schizza avanti in un tempo ancora più lontano, verso un nuovo stadio evolutivo. I suoi sono esseri sinuosi, soffici, colorati. Nella loro piacevolezza avvicinano, invitano all’incontro tattile con la loro pelle-pellicola sintetica. I loro corpi sono rigonfi di materia plastica di scarto che qui informa tessuti, muscoli, organi. Tra loro instaurano continui scambi e configurazioni sempre aperte. Si riproducono incessantemente. Si espandono in tutte le direzioni, come fanno le radici nel sottosuolo e le foglie nell’atmosfera per estrarre dal mondo il maggiore nutrimento possibile. Compongono una cosmogonia tentacolare e rizomatica, gioiosa e libera, che va oltre qualsiasi schema riproduttivo binario e chiuso generando una confusione quasi estatica.

Nello spazio espositivo, i due tempi di ICONOPLAST si abbracciano e si intrecciano a formare un ambiente sensuale, mutevole e pulsante, in pieno fermento vitale. Un habitat ancestrale e futuristico insieme che invita all’immersione come anche al gioco, allo stupore. È solo dopo vari passi al suo interno che lo spettatore percepisce il cortocircuito in atto tra la fascinazione e la curiosità iniziale della scoperta di una nuova specie e un certo disagio, uno spaesamento, di fronte alla presa di coscienza della sua assenza e impossibilità di azione in questo futuro che non gli appartiene più. Al tempo stesso, la storia di ICONOPLAST è il tentativo, per Bonaventura e Muliere, di ribaltare punto di vista, di suggerire una narrazione del futuro alternativa allo scenario oscuro, desolante e minaccioso dell’Antropocene. Infatti, la prospettiva qui non è tanto quella del genere umano, presunto regista della vita sulla Terra, quanto piuttosto di quel ‘microcosmo’ che ci precede in termini evolutivi e che, se ci estinguessimo, “sarebbe pronto a espandersi e a modificare se stesso e il resto del mondo senza di noi, come ha già fatto in passato”, come scrive Lynn Margulis. Le artiste ricorrono così alla parabola dell’evoluzione per riconoscere la superiorità creativa di organismi come batteri e vegetali che, nell’elaborare soluzioni evolutive collaborative, sono in grado di abitare e proliferare in ambienti ostili alla vita. ICONOPLAST è metafora di questi altri mondi e altri modi di generare vita e di sopravvivere nella mescolanza. Non è spazio di sovranità, esclusivo, ma luogo della coabitazione e del con-divenire in solidarietà tra organismi viventi e non.

ICONOPLAST è un esperimento di immaginazione in cui si fondono realtà, fatto scientifico, speculazione filosofica e fare artistico. Gli interventi di Bonaventura e Muliere sono solo il primo capitolo di un progetto in fieri che si apre all’ibridazione tra discipline, saperi e competenze eterogenee per farsi terreno fertile di relazione e di invenzione di inedite narrazioni sul futuro del pianeta e della plastica. Immaginare tempi e scenari possibili è la modalità con cui le artiste invitano a riconsiderare la posizione di privilegio dell’essere umano sulla Terra, forma di costruzione attiva di una nuova sensibilità nei confronti di altre specie e oggetti con cui condividiamo più o meno consapevoli lo spazio in cui viviamo.

Testo di Giorgia Tronconi

ICONOPLAST
Sara Bonaventura ed Elisa Muliere con la partecipazione di Madelon Vriesendorp
a cura di Adiacenze e Anna Rosellini
12 marzo – 24 aprile 2022
Sala Ronchini, Museo CAOS, Terni
Sponsor tecnici: Bazzica, Beaulieu Fibres International Terni, Enycs, Faroplast, Lucy Plast
Con il supporto di: Le Macchine Celibi
Partner: La Romita School of Art, HackLab Terni

 

31
Gen

Immersions | Leila Mirzakhani

O Gallery presents “Immersions”, a collection of works on paper by Leila Mirzakhani (b. 1978 Tehran).

Using a meditative and poetic approach, Leila Mirzakhani aims to recreate instinctual and natural human experiences in her practice through rediscovering a spiritual dimension in the ordinary events of everyday life. Mirzakhani’s drawings of atmospheric color fields examine qualities of ephemeral light as well as solid radiance. Offering examples of the medium’s possibilities, the artist minimalizes painting to the essentials with a sensory and allusive richness embedded in their asperity. The structural expressions and limited palette emphasize the beauty inherent in nature with a reference to seasons. This subtle beauty is apparent in the delicate visual incidents in the executions of lines, marks, hues and margins while demonstrating a deliberate emphasis on the wholeness of the surface.

Immersions
Immersion is an attempt to capture the elusive beauty of the nature; it is the desire to adapt oneself into the colors of the leaves in the spring, to the petals of Bougainvillea and the irresistible violet of the Iris.

It’s the amazement felt only towards something extremely fragile and at the same time magical and beyond the bounds:
In the face of such beauty we are well aware from the beginning that what we receive is partial and the rest remains unseen.

As Sohrab Sepehri said (Iranian contemporary poet)

Our need
Isn’t to unravel the mystery of the rose,
our need is,
may be
to immerse ourselves in the enchantment of the rose”

Leila Mirzakhani

Immersions | Leila Mirzakhani
January 28 _ February 8 2022

O Gallery
18 Shahin (Khedri) St., Sanaee St., Tehran, Iran

26
Gen

PALADINO

Tutta la storia artistica di Mimmo Paladino si nutre della cultura, della terra e della luce mediterranee. E non solo. Altri fantasmi la abitano. Mentre i pittori della sua generazione fanno ricorso alla memoria e alla citazione con effetti puramente stilistici, i riferimenti poetici di Paladino sondano le profondità del mito da cui riemergono frantumati, come schegge di figurazioni arcane, indecifrabili e tuttavia familiari per chi ha confidenza con il mondo oscuro della cultura arcaica campana. Memoria e citazione non sono tuttavia attività libere e giocose, ma pratiche quotidiane di lavoro e di confronto con la materia dell’arte, che non è solo colore, pietra, legno, bronzo. Fondamentale in Paladino resta la formazione concettuale e analitica che è divenuta nel tempo dato inalienabile del lavoro pittorico, permettendogli di spaziare fra le istanze della tradizione e quelle dell’avanguardia, di rielaborare la cultura figurativa del Novecento, in particolare l’espressionismo, l’informale e la popart, di attingere da culture arcaiche ed extraeuropee, sapendo scegliere chi e che cosa guardare: gli affreschi e le miniature medievali, le alchimie del manierismo, i chiaroscuri del Seicento. I soggetti della sua pittura non sono infatti mai semplicemente figurativi, perché quanto si dà come pittoricamente visibile è il risultato di un linguaggio formale assai consapevole che incamera e restituisce il fantasma o i fantasmi attraverso tutto quanto in astratto e in concreto può diventare o essere pittura e figura. Spesso l’immagine scaturisce dalla proliferazione o stratificazione di segni e materie. La superficie viene coperta con strati successivi di colore o gesso, si creano grovigli e frammenti di segni e simboli che a volte dichiarano un significato, a volte alludono, a volte nascondono. Se è vero che Mimmo Paladino, silenzioso si ritira a dipingere già nel 1977, troncando la sua prima ispirazione concettuale e anticipando la svolta culturale della generazione transavanguardista, nondimeno è evidente dal disegno al quadro, dalla pittura alla scultura, dall’architettura alla scenografia, che l’arte per Paladino sia un processo ricostruttivo di ordine e di senso, avulso da ogni tentazione regressiva o restaurativa. L’arte come creazione di una cosmogonia, fondazione di un universo senza tempo, in cui tornino a circolare storie e leggende che rendano abitabile e affascinante la vicenda umana. Ecco allora che le forme paladiniane, depurate dalle tensioni della contingenza, raggiungono l’essenza primitiva, iconica, di immagini essenziali come ombre che non si cancellano e sempre ritornano, mescolandosi all’infinito. Questo è il tratto decisivo dell’opera di Mimmo Paladino: l’affermazione di un linguaggio figurativo non illustrativo, non narrativo; di un’arte che genera pensiero e conoscenza e dunque speranza di un mondo nuovo.

PALADINO
CASAMADRE
Piazza dei Martiri 58, Palazzo Partanna – Napoli – Campania
dal 22 gennaio 2022  al 9 aprile 2022

Immagine in evidenza: Mimmo Paladino, senza titolo, 2020